"Non sono pazza, sto male!". Cosa significa subire un TSO: l'esperienza di Laura, una nostra lettrice

Attacchi di panico, ansia, anoressia: cosa significa stare male e non sentirsi ascoltate. Cosa significa arrivare al punto di essere ricoverata in TSO. Ce lo racconta Laura, una nostra lettrice.

Questa è la testimonianza di Laura, una nostra lettrice.

Il suo non è un messaggio che vuole denigrare il lavoro di medici, infermieri e strutture adibite, ma denunciare il dolore e lo scempio che anche l’operato più efficiente può lasciare dietro di sé quando rinuncia all’umanità.
La sua storia costringe a mettere in discussione gli stereotipi che anche i più aperti di noi faticano a scalzare e a riconsiderare termini quali la pazzia e la malattia mentale, che tendiamo a relegare dietro i muri di qualche reparto psichiatrico, convinti che esista un netto confine tra chi è “sano” e chi è “malato”. Anche la cantautrice Sinead O’Connor aveva lanciato uno straziante messaggio di protesta contro chi ghettizza la malattia mentale, come mostrato in questo video:

Questa è la testimonianza di Laura, una nostra lettrice.

Ci è stata raccontata da lei sul nostro gruppo riservato solo alle donne, Roba da Donne Community, in cui in molte ci sentiamo libere di confidarci senza il timore che pensieri e sentimenti, scritti sotto l’occhio non sempre accogliente di una pagina Facebook pubblica, vengano maltrattati, essendo loro troppo preziosi per consegnarli all’incuria di certi utenti.

E allora perché pubblicarla qua? Perché riteniamo che possano essere d’aiuto a molti. Per contribuire ad abbattere l’ignoranza di cui siamo vittime: perché quello che non conosciamo ci spaventa sempre. Perché, soprattutto, abbiamo avuto il consenso di Laura:

Onestamente non pensavo che una testimonianza così “burrascosa” e incasinata potesse essere d ispirazione e/o comunque aiutare le persone.
Non ho affatto problemi a raccontare la mia esperienza, anzi ne sarei veramente contenta, finalmente qualcuno non ha ignorato ciò che ho scritto e ciò che ho vissuto.
Prima di raccontarvi questa storia, però, vi lasciamo con una richiesta di Laura, che è anche la nostra:
Vorrei evitare il “classico compatimento” che la gente può avere nei miei confronti. Non voglio passare per vittima o per quella con manie di protagonismo: il mio voleva essere lo sfogo di anni passati dove le urla erano sempre ignorate da orecchie sorde.
A questo proposito, lo ricordiamo, siamo state noi a chiederle di pubblicare questo sfogo che, diversamente, sarebbe rimasto tale, protetto nel “segreto complice di amiche di community”.
Ecco la storia di Laura, con un’ultima nota: le parole di seguito riportate sono esattamente quelle di Laura, con alcune minime e limitate sistemazioni laddove la velocità di scrittura di questo suo sentito sfogo ha lasciato qua e là qualche refuso o passaggio confuso.
Dal film “La pazza gioia”
Io soffro di attacchi di ansia fin da quando ero piccola.
Avevo sempre paura che se mi fossi allontanata da casa qualcuno dei miei parenti avrebbe potuto morire ed io non sarei stata lì. Avevo anche il terrore di andare a scuola, perché subivo parecchio bullismo. Venivo picchiata e insultata ogni giorno e per quanto i miei genitori abbiano lottato per questa causa, gli assistenti sociali dissero che era tutta una mia invenzione che mi creavo (simpatici figli di buona madre).

I miei attacchi di ansia sembravano essere passati una volta arrivata alle superiori, non soffrivo più di bullismo e mi ero fatta una corazza durante l’estate. Avevo finalmente trovato un po’ di serenità che, purtroppo, è stata uccisa dall’inizio della separazione tra i miei. Mia mamma che, soffre parecchio anche lei di panico, ansia e altre patologie simili, mi trascinava un po’ nella sua rete depressiva e di conseguenza mi toglieva quella piccola tranquillità che avevo costruito. Per fortuna a scuola avevo un migliore amico che mi stava vicino sempre e ogni volta mi tendeva la sua mano per trascinarmi fuori dallo schifo in cui sprofondavo a causa dei problemi in famiglia.

Ho “combattuto” la mia ansia e i miei attacchi di panico con l’autolesionismo e con l’anoressia. Il mio mantra era

più sei magra più trovi la felicità, più trovi qualcuno che ti ama e ti porta via da tutto questo. Non ribellarti mai e non litigare con nessuno perché fa male il dolore che causi poi, quindi è meglio che il dolore lo senti solo tu.

Così ho continuato la mia vita, nascondendo a tutti quello che sentivo: gli attacchi di panico, questo mio non sentirmi me stessa, non amarmi e non riuscirmi ad accettare. Vomitavo tutto e mi tagliavo gambe e braccia. Ho toccato il fondo arrivando a 35/38 chili e solo lì vivevo la mia “felicità”: potevo concedermi tutti i vestiti che volevo, mi truccavo e mi sentivo “bella”. Finalmente niente più attacchi di panico, avevo un bel corpo – credevo -, quindi perché preoccuparsi di tutto il resto?

Sono stata in comunità terapeutica e non mi ha giovato molto con i miei problemi, anzi. Mi vien da ridere se ci penso. Hanno peggiorato solo un po’ la situazione perché, per quanto riguarda la mia esperienza, in quei posti non vieni ascoltata come si deve:

sei malato quindi non hai ragione e sei falso.

Ogni volta che cercavo di spiegare loro ciò di cui avevo bisogno se ne fregavano e quindi, anche lì, mi sono sentita sola e mi sono fatta forza per l’ennesima volta per tirarmi fuori da questa situazione. Mi bombavano di psicofarmaci dalla mattina alla sera creandomi stati di ansia e panico a volte penso solo per poter dire “visto che sei ansiosa?”

In pratica sono uscita dalla comunità che pesavo la bellezza di 85 chili e bombata di farmaci, sembravo una drogata.
Fin da subito ho buttato via ogni singolo farmaco* che mi avevano dato come terapia. Ho fatto il primo anno a farmi più male di prima. Fumavo anche 40 sigarette al giorno per sopprimere l’astinenza che avevo dei farmaci. Mi spegnevo le sigarette addosso e ogni giorno era un attacco di panico dietro l’altra con rabbia repressa che sfogavo con le urla.

Mi ricoverano con TSO e da lì ho voluto affidarmi totalmente a un medico a cui volevo un bene dell’anima perché mi ha saputo ascoltare veramente e mi ha aiutato a crescere pian piano.

Purtroppo però per cause maggiori lui se n’è andato ed io mi sono ritrovata di nuovo sola. Sono entrata in un centro diurno e lì nonostante fossi la più piccola e la più “sana” ho fatto passi da gigante con infermiere ed educatori. Ovvio con il caratterino che avevo e con le esperienze che avevo subito c’è voluto tempo prima che mi fidassi di loro. Ora ho 27 anni e da 10 non prendo più psicofarmaci perché voglio combattere da sola i miei demoni, non sono malata psicologicamente, ogni tanto ho ancora qualche attacco di panico. Lo riconosco subito e il più delle volte riesco a superarlo da sola o addirittura ignorarlo e cancellarlo. Purtroppo però mi è rimasto un po’ il mio “meraviglioso disturbo alimentare” perché è proprio lì che sopprimo molte cose. Come se mi dicessi meglio il “rifiuto del cibo” che droga, alcool o farmaci.

Tutto ciò x dirvi che purtroppo l’ansia e gli attacchi di panico non si cancellano: fanno parte di noi.
Bisogna saperli capire e saperli ascoltare bene. Alla fine siamo ancora noi. Non c’è nessuno che possa fare il miracolo e farli sparire…

Tuttora cerco di lottare e guardare oltre. Vorrei poter fare capire alla gente che si può vincere su queste cose. Vorrei poter aiutare moltissime persone con le mie esperienze. Penso che riuscirei a far sentire meno sole le persone (posto il fatto che non sono una santa però).

Ora più che mai sto combattendo di più per la mia piccola creatura che è nata da poco. È una continua lotta mentale… ma ce la sto mettendo ancora tutta.

* IMPORTANTE: l’assunzione e la sospensione di farmaci deve essere sempre concordata con il proprio medico curante. Questo articolo non intende demonizzare terapie che possono essere valide e addirittura necessarie.

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