La morte di Stefania non è colpa del marito e la sua assassina non “amava troppo”

La morte di Stefania non è colpa del marito e la sua assassina non “amava troppo”
facebook @stefania crotti/facebook @chiara alessandri
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Dietro l’ennesimo femminicidio si nasconde una storia diversa, il racconto di un altro tipo di odio, anche se gli elementi di fondo, e l’epilogo, sono drammaticamente gli stessi; nell’omicidio spietato di Stefania Crotti, la mamma bergamasca massacrata a colpi di martello e pinza e poi  bruciata, abbandonata in un campo nella provincia bresciana, infatti, la gelosia, e la non accettazione della fine di una storia costituiscono il fil rouge che lo accomuna alla gran parte dei casi di violenza di genere; solo che, questa vicenda specifica, tutto è declinato al femminile, e a queste componenti si aggiunge la rivalità in amore, la competizione per lo stesso uomo e il senso di smarrimento dietro la consapevolezza di non essere “la prescelta”, di essere la “sedotta e abbandonata” che hanno portato prima alla frustrazione, quindi al desiderio di vendetta verso “l’altra”.

Perché a uccidere Stefania non è stato un ex compagno furioso o un marito possessivo, ma una donna: o meglio, la ex amante del marito, il quale, dopo un momento di defaillance e di crisi personale, con conseguente separazione temporanea e storia parallela, aveva deciso di tornare tra le braccia della moglie, per provare a ricostruire quel rapporto, a salvaguardare quella famiglia, e quella bambina di 7 anni, che in fondo erano stati il frutto di un amore che evidentemente non si era ancora esaurito.

Stefano Del Bello e Stefania non erano certo i primi a vivere una crisi coniugale, nemmeno i primi a rappacificarsi, anzi… La loro è una storia come se ne sentono e vivono tante, fatta delle proprie contraddizioni, imperfezioni e peculiarità, e che non meritava di certo il giudizio altrui, figurarsi una condanna a morte, come quella che l’ex amante ha deciso di emettere con una fermezza spietata.

La follia di Chiara Alessandri, “l’amante ferita”, l’altra donna che era stata solo il capriccio di un paio di mesi, ha infatti dato a quella che era una semplice storia familiare le tinte noir di un delitto.

Il punto è che, proprio leggendo e ascoltando chi della vicenda ha scritto, riferendosi sempre a quei fatidici due elementi, gelosia da un lato, non accettazione della fine della storia dall’altro, val la pena specificare una cosa: come ogni volta in cui avviene un femminicidio, l’amore non c’entra.

Anzi, è molto lontano, a miglia di distanza da qui. Perché l’idea distorta di chi pensa di poter possedere in senso letterale una persona, fisicamente, mentalmente, sessualmente, non ha niente a che fare con l’accezione pulita dell’amore, con i sentimenti, con la gioia di essere in coppia e il dolore di non esserlo. Chi ha amato, nel senso vero e sacro del termine, non si sognerebbe mai di reprimere la vita di un ex, o della nuova compagna/o di lui o lei. Qui a entrare in campo, semmai, è la follia, l’efferatezza di chi si prende, con autonomia e coscienza di ciò che sta compiendo, il diritto di scegliere, “Se non ti avrò io, allora nessuno”, oppure, come in questo caso, di levare all’oggetto del desiderio un bene prezioso, di togliere all’altro felicità.

Senza volerci addentrare in dibattiti o analisi di stampo psicologico, che spettano a chi per mestiere scandaglia i meandri più disturbati degli animi umani, è però piuttosto evidente che non serva necessariamente una competenza medica per comprendere, da osservatori esterni, che il baratro verso la follia lastricato di ossessioni e possessività sia piuttosto labile, ma mai, in nessun modo, intrecciato con l’amore. Che, anzi, puntualmente viene sporcato da chi lo usa e strumentalizza in modi pretestuosi per dare alle vicende di cronaca una certa sfumatura rosata alla Romeo e Giulietta.

Ma l’aspetto da sottolineare è anche un altro: sotto i vari post (peraltro anche in molti commenti visibili sulla pagina Facebook della Alessandri) più d’uno ha lanciato accuse a Del Bello, con toni che andavano dal “Se se lo fosse tenuto nelle mutande” al “Fosse andato con una prostituta almeno non faceva ‘sto macello”.

Solo stupidaggini. Per quanto nei tribunali social che giudicano e condannano prima di quelli fisici, non importa se con prove insufficienti o persino nella loro totale mancanza, sia molto più semplice ergersi a esseri perfetti e onniscienti, nessuno, se non i protagonisti, sa cosa sia davvero accaduto nella coppia. Tanto che su molti giornali che hanno tentato di ricostruire le tappe della vicenda si parla di una pausa tra i due, di lui che avrebbe affittato un appartamento da solo e che solo per qualche settimana avrebbe frequentato l’altra, prima di provare un nuovo approccio con Stefania. Detto questo, si fosse anche trattato di una storia clandestina pluridecennale, nessuno avrebbe avuto il diritto di incolpare lui della responsabilità della morte della moglie.

Ma, siccome giudicare, oltre che essere lo sport degli stupidi, è anche decisamente più semplice e piacevole, in realtà occorrerebbe fermarsi un attimo e riflettere sul fatto che colpevolizzare il marito significa perdere di vista il vero colpevole, esattamente come si fa quando, nei casi di stupro, si fa accenno a quelle odiose frasi che cominciano sempre con “Nessuno si merita di essere violentato, ma…” e che terminano, a seconda, con “la gonna corta”, “il vestito sexy”, “era ubriaca”.

Puntare il dito contro il marito, infedele o meno che sia, significa solo accanirsi sulle nostre paure personali, ancestrali, quelle di essere cornute, di veder crollare l’idea di vita perfetta che spesso ci inculcano fin da ragazzine per abbracciare l’idea dell’imperfezione. Significa anche non dover ammettere a stesse l’idea della possibilità che due persone decidano di andare oltre, ricostruire, ricominciare, e non comprendere che questo non toglie un grammo di dignità alla loro relazione, anzi!

Perché l’idea di due persone che si allontanano ma sono anche pronte a mettersi in discussione, a capire che fra loro c’è qualcosa di più forte di una scappatella o di un momento di sbandamento, e provano a rimettere insieme i pezzi, quello sì, che è da considerarsi amore. Invece, per chi non accetta deroghe o debolezze ai propri sentimenti, è molto più facile confondere la pazzia e la furia con il sentimento, nascondendoli dietro parole come “gelosia” o “possesso”.

In gallery abbiamo ricostruito la vicenda e l’omicidio di Stefania Crotti.