Sono davvero tante le storie di cui veniamo a conoscenza attraverso i vostri commenti ai nostri post sulle pagine social, o i messaggi che ci inviate in privato; e questo per noi è davvero molto importante, perché ci permette non solo di dare spazio alle vostre vite e testimonianze, ma anche di parlare di argomenti che spesso sono difficili da affrontare, dando voce proprio a chi vive, o ha vissuto, certe situazioni.

Fra i tanti che ci hanno colpito c’è stato anche il messaggio di Camilla, vent’anni, che ci ha raccontato la sua vita da sorella minore di Alberto, un ragazzo con una grave forma di autismo. La sua storia ci ha toccato così tanto che le abbiamo chiesto di parlarcene ancora, di scriverci di più sulla sua quotidianità, le sue paure e sensazioni, lasciando spazio alle sue parole ed emozioni, proprio come se parlasse con un’amica, una persona di fiducia. Questo è quello che ci ha detto.

L’autismo al giorno d’oggi è una realtà più che conosciuta e difficilmente ignorabile, ne parlano medici, madri, media, insegnanti, ma dei fratelli dei ragazzi autistici chi si preoccupa?

Sono Camilla, la sorella di un ragazzo autistico, un anno più grande su me. Ho 20 anni e conduco una vita diversa dagli altri miei coetanei, sì, perché per quanto i miei genitori ci abbiano provato a farmi vivere esattamente come gli altri, so di avere tutto il diritto di sentirmi differente.

La mia storia non parla di una ragazza con poteri magici che sconfigge il male, annulla tutti i problemi e li risolve per sempre, qui non ci sono né pozioni né soluzioni facili.
Devo essere sincera con me stessa, ho avuto un’infanzia serena, tranquilla, dove ho potuto conoscere e sperimentare tutto, con qualche aspetto che si differenzia rispetto a quello che vivevano gli altri bambini.

Quello che penso renda la mia infanzia dissimile può essere riportato attraverso alcuni esempi: Alberto, mio fratello, all’età di 4 anni aveva giochi particolari che doveva provare per sviluppare determinate capacità verbali o tattili, e io da lì ho iniziato a voler giocare con lui, a fare da ‘insegnante’ al mio fratellone, cosa che è continuata per anni, anche in altri campi: durante l’ippoterapia spesso e volentieri ero la sua assistente e aiutavo in maniera pratica l’andamento della lezione.

Questo tipo di esperienze mi ha dato un dono, la pazienza, qualcosa che serve in quantità infinita con Alberto; mi ha reso forte, indistruttibile, mi ha creato una corazza pronta a sconfiggere ogni nemico, anche senza superpoteri.
Sono sempre stata sorridente e solare, perché so quanto sia difficile ogni giorno, quante battaglie si dovranno affrontare sperando che lui non abbia crisi epilettiche o che non stia male, perché forse non lo sanno tutti, ma curare un ragazzo autistico non è facile.

Quando ha l’influenza, ad esempio, lui non accetta medicine diverse dalle sue, non si fa misurare la temperatura, non sta fermo sotto le coperte, non ha oggetti per distrarsi… E  si parla di una semplice influenza.

La vita da sorella non è facile, devi combattere contro i bulli, perché essendo di indole buona tutti approfittano di te; a 5 anni mi sono sentita ripetere a cantilena da una coetanea ‘Tu hai il fratello autistico senza che nemmeno ci si rendesse davvero conto di cosa volesse dire una frase del genere. Non parlando poi delle elementari e delle medie, dove all’ordine del giorno ce n’era una nuova, un esempio? Quelli che mi dicevano ‘Spero che il fratello di Camilla non sia più autistico, così lei non sarà più viziata‘; pensavano che, data la situazione di mio fratello, io ne ‘approfittassi’ per suscitare del pietismo nelle persone, per far sì che il mondo girasse intorno a me e gli altri dovessero accontentarmi in tutto. E che, se mio fratello fosse guarito, avrei smesso di fare la vittima.

Cosa che fa chiaramente notare il livello di ignoranza da parte dei bambini e delle loro famiglie che non comprendevano, e non comprendono, che la diversità nel 2020 non è qualcosa di sbagliato.

La verità è che mi sono sempre sentita messa in ombra. Sono sempre stata quella che ‘non ti ci mettere anche tu a creare problemi’, quella che sentiva il suo corpo crescere più lentamente della sua mente, che adesso sente addosso 25 anni e non 20, e che al tempo stesso si dice ‘d’altronde è sempre stato così’.

La mia testa pensa sempre, fa tante riflessioni dicendosi : ‘Tu non puoi essere bambina, tu devi essere responsabile delle tue azioni, devi stare attenta qui, là, per questo e per quello’…

Ho dovuto essere forte, perché quando ero alle superiori mio padre fu trasferito in Piemonte a lavorare, così mi dissi ‘Tua mamma si ritrova sola con due ragazzi a cui badare, che stanno crescendo, e non c’è tempo per le crisi adolescenziali, la mamma piange perché papà torna solo il weekend, allora ha bisogno della tua allegria, Camilla, ha bisogno di distrarsi, del tuo sostegno; devi essere forte, farle vedere che sei responsabile come lei desidera: che non fai tardi la sera, ma che studi e sei brava, così sarà più sollevata e magari starà meglio’.

La mia testa pensa a questo, per un anno intero, finché la mamma non smette di piangere, allora iniziamo a crearci un nostro piccolo mondo, magari chiuso, ma che serve a farci forza. Siamo due donne che affrontano tutto, senza paura e timori. Ha creato un laboratorio di pasticceria, per dare un futuro ad Alberto, così che potrà avere un ‘dopo di noi’.
Sembra banale, ma la semplice quotidianità fa vedere quanto siamo forti io e lei: se Alberto cade a terra per le crisi lo prendiamo in braccio assieme, e troviamo al più presto possibile modi per farlo stare meglio, ci diamo forza per ricominciare, ogni volta che questo avviene.

Lei mi sostiene nella mia vita di ogni giorno e io le do forza per questo suo nuovo lavoro da pasticciera, organizziamo le nostre giornate, senza corse contro il tempo, cercando di stare tranquille, perché la tranquillità non è una cosa scontata, è qualcosa che ci siamo guadagnate assieme nel tempo e il nostro reagire a tutti i problemi.

Che ci sono, ad esempio quando Alberto decide di non mangiare, o quando corre dentro i negozi di scarpe per prendere una scatola solo per la sua scritta e noi passiamo ore intere cercando di spiegare alle commesse che, se non avrà proprio quella scatola, non dormirà la notte successiva; oppure quando non capiamo se sta male, perché tiene lo sguardo fisso nel vuoto per secondi interi o, per fare un ultimo esempio, quando indica qualcosa facendoci capire che la vuole, ma non scrivendo e comunicando verbalmente spesso non riusciamo a comprenderlo.

La vita di una ‘sorella’ non è brutta, credo solo non sia adatta a tutti. Ciò che ho imparato da tutto questo è di prenderla con il sorriso e tutto si risolverà, è il miglior superpotere“.

"La mia vita all'ombra di un fratello autistico e il diritto di sentirmi diversa"
Fonte: fotografie inviateci da Camilla
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