Chiara Bersani: “Se io, con il mio corpo disabile, oggi sono qui”

Chiara Bersani: “Se io, con il mio corpo disabile, oggi sono qui”
ph. Giulia Agostini
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I limiti sono fatti per essere abbattuti. Può sembrare una frase fatta, lo è solo per chi certe parole le dice ma non le pensa.

Non per chi, nella sua vita, si è trovato a fronteggiare difficoltà inaspettate, o a convivere dalla nascita con quelli che agli occhi di altri potevano sembrare ostacoli, per loro solo una normalità diversa, da migliorare, con il lavoro, l’impegno, la pazienza.

Ci vogliono tutte queste qualità, e forse molte altre nascoste ai comuni mortali, per far sì che un handicap, una disabilità, non siano percepite come tali ma come un’opportunità differente, una motivazione per convincersi a vivere la propria esistenza esattamente come la si vuole, indipendentemente dal fatto che si viva su una sedia a rotelle, che si sia ciechi, sordi o privi degli arti.

E di esempi belli, bellissimi, di persone che hanno saputo rialzare la testa dopo che la vita aveva cercato di abbassargliela, o che sono nati con la sfrontatezza di sfidare il destino a viso aperto, ce ne sono molti, per fortuna: da Alex Zanardi più forte del dramma di aver perso le game a Bebe Vio, regina dello sport e dell’autoironia cui nemmeno la meningite fulminante da bambina è riuscita a dare la stoccata vincente; passando per Valentina Tomirotti, la Pepitosa in carrozza che sulla sua auto vuole girare l’Italia per insegnare che disabile non è uguale a “non autosufficiente”, fino a Mariangela, che ha inseguito tanto a lungo il sogno di costruire una famiglia tutta sua, e non si è lasciata scoraggiare dalla distrofia muscolare.

A loro si aggiunge Chiara Bersani, performer affetta da una forma medio-grave di osteogenesi imperfetta che si è aggiudicata il prestigioso premio Ubu, dedicato al teatro. La trentacinquenne piacentina lo ha vinto grazie allo spettacolo che lei stessa ha ideato e interpretato, Gentle Unicorn.

Il suo discorso, nel corso della cerimonia di premiazione, vale davvero la pena di essere ascoltato, perché testimonia quanto grande e forte sia la volontà di scrollarsi di dosso la stigmatizzazione sociale e i pregiudizi legati a malattia e aspetto fisico, per far comprendere di essere solo e soltanto una persona. Con dei sogni, degli obiettivi, dei traguardi da raggiungere.

A riportare le sue parole in un post Facebook un altro performer, Alessandro Sciarroni.

Se dovessi raccontare come mi sento ora, mentre provo ad organizzare i pensieri in un breve discorso, mi vengono in mente gli astronauti quando si avvicinano alla luna, o almeno come io li immagino in quel momento: confusi, euforici e un po’ soli.
Loro sanno che pochi altri uomini li hanno preceduti su quel satellite. Sanno di essere un’eccezione perché la norma vuole che i corpi come i loro restino sulla terra e sulla terra camminino e vivano.
Se i corpi degli astronauti sono arrivati sulla luna è perché molte persone prima di loro li hanno immaginati là e hanno fatto il possibile per mandarli.
Se io, con il mio corpo disabile oggi sono qui, a ricevere un riconoscimento così prezioso, è perché qualcuno da chissà quanti anni ha iniziato lentamente a smussare gli angoli di un intero sistema. Se il mio corpo è qui è grazie a tutti i maestri che hanno scelto di accogliermi come allieva anche se questo significava adattare i loro metodi ai miei movimenti. È grazie ai registi, ai coreografi, ai curatori, ai colleghi attori e performer che hanno abbracciato la specificità della mia forma. È grazie a chi inizialmente non era d’accordo e poi ha cambiato idea.
Quando gli astronauti sono arrivati sulla luna hanno messo una bandierina volevano segnare una conquista: quello era il punto più lontano nell’universo raggiunto dall’uomo.
Anche io oggi vorrei mettere una bandierina qui ma non per fissare un punto d’arrivo. La mia bandierina vuole essere una linea di partenza perché io non voglio più essere un’eccezione!

Abbiamo cercato di conoscere meglio Chiara, e abbiamo provato a raccontarvela in gallery.