15 morti al mese: racconti e immagini dalla "montagna che mangia uomini vivi"

15 morti al mese: racconti e immagini dalla "montagna che mangia uomini vivi"
Giacomo Bruno
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“2018, odissea nell’inferno” è il titolo del reportage di Giacomo Bruno, fotografo italiano che ha trascorso tre giorni a Potosì in Bolivia. La miniera d’argento di Cerro Rico è tragicamente famosa perché “mangia gli uomini”: 15 persone al mese perdono la vita al suo interno.

Con le sue foto, Bruno ha denunciato le condizioni in cui versano i minatori, donne, uomini e bambini che lavorano nella miniera fino alla morte.

Cerro Rico significa “montagna ricca”, è alta 4800 metri ed è considerata la miniera più ricca di argento al mondo: l’estrazione del minerale è cominciata 500 anni fa. Sono 25 mila i minatori che ogni giorno si addentrano nei cunicoli bui per cercare l’argento, sempre più difficile da trovare.

Nessuno si preoccupa di come lavorano queste persone, delle loro condizioni di salute e dei loro diritti. Sono abbandonati a se stessi tanto da dover provvedere alla maggior parte dell’attrezzatura necessaria come guanti e maschere. La paga non è fissa, dipende dalla quantità e dalla qualità del materiale estratto. Nel migliore dei casi si guadagnano 300 euro al mese.

Tutti fanno uso di foglie di coca per riuscire ad avere l’energia necessaria a lavorare 12 o 13 ore al giorno. L’aspettativa di vita è di soli 40 anni e la maggior parte muore per patologie polmonari, causate dalle polveri che si respirano in miniera e che si accumulano negli organi interni.

Prima di cominciare a lavorare, ogni minatore esegue un rito, la visita al “Tio de la Mina” (il diavolo della miniera). Secondo la superstizione, il rituale dovrebbe proteggere dai pericoli della miniera. Si prega e si dona al Dio della miniera ciò che per il minatore è più importante: in seguito, si posa una sigaretta accesa in bocca alla statua del Dio, gli si versa un po’ di birra e dell’alcol puro a 98 gradi, utile per tonificare i muscoli e sopportare meglio il freddo e la fatica.

“Fuori siamo tutti cattolici, ma quando siamo qui sotto, siamo con il diavolo” ha detto uno dei minatori al fotografo.

All’interno dei cunicoli si lavora in silenzio, quasi si entrasse in trance. Quasi si perdesse l’umanità. Si deve prestare attenzione al numero di detonazioni: se non corrisponde alle cariche poste dai minatori, vuol dire che è andato storto qualcosa. Allora o si scappa o si rischia di morire sotto le macerie.

Il lavoro è meccanico, viene naturale. La morte è una compagna con la quale convivono tutti i giorni.