"Che colpa ne ho io, se la natura mi ha fatto così": Addio a Lucy Salani, donna trans 98enne

La testimonianza dell'unica donna transessuale sopravvissuta al campo di concentramento di Dachau, sottolinea una volta di più l'importanza della memoria affinché un passato di orrori non si abbatta di nuovo contro chi, per motivi diversi, viene discriminato.

*** Aggiornamento del 22 marzo 2023***

Lucy Salani si è spenta all’età di 98 anni. A darne notizia il fondatore dei Sentinelli e consigliere regionale lombardo Luca Paladini. Era la donna trans più anziana d’Italia, l’unica sopravvissuta al campo di Dachau. La sua storia è stata raccontata nel documentario C’è un soffio di vita soltanto, di cui parliamo nell’articolo originale che segue.

*** Articolo originale *** 

Il disgusto che le provoca il ricordo del primo “approccio” del prete pedofilo è lo stesso, identico, di quello per i cadaveri (e non) gettati nei forni di Dachau; l’aver subito entrambi, la violenza sessuale e il campo di concentramento, le hanno fatto perdere la fede in Dio: Lucy Salani, protagonista del documentario C’è un soffio di vita soltanto, è una donna trans di 96 anni, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, che si fa così testimone dei mali del mondo, oltre che dell’inferno della storia recente.

E alla luce delle sue esperienze, delle sue sofferenze, della speranza che regala l’esempio della sua vita, quell’applauso al Senato del 27 ottobre 2021, che ha rimandato in commissione il DDL Zan (affossandolo, almeno durante questa legislatura) appare in tutta la sua grettezza, in tutta la sua vergogna: uno schiaffo che per molti e molte persone trans sarà stato più che figurato.

«Che colpa ne ho io, se la natura mi ha fatto così», ripete più volte Lucy Salani, che nella sua lunga vita ha fatto la prostituta, la ballerina, l’attrice, la tappezziera. Lucy non parla di politica; Lucy fa Politica.

Fa Politica quando ricorda il prete pedofilo, quando racconta di essere stata, ancora Luciano, un disertore durante la seconda guerra mondiale, quando descrive gli orrori di Dachau, quando accoglie sotto il suo tetto prima una ragazza madre di 18 anni rimasta orfana e poi un operaio marocchino, un musulmano praticante a cui ha affitto una stanza ma che tratta come fosse un nipote; quando fa educazione sentimentale alla sua vicina; quando resiste, memoria della comunità LGBT, dimostrando – a ogni sua parola e in ogni suo gesto – come la rete di solidarietà che si è creata intorno al suo appartamento nelle case popolari di via Stalingrado, a Bologna, abbia ancora un potere rivoluzionario.

E fa Politica, una volta di più, quando nel 2015, si oppone alla decisione di chiedere al Presidente Mattarella di nominarla senatrice a vita.

Non c’è nulla nella sua esistenza che sembra lasciato al caso: completata il suo percorso gender affirming a 60 anni, negli anni Ottanta a Londra, non ha mai cambiato il nome all’anagrafe: «Il mio nome è prezioso – spiega nel documentario – Me l’hanno dato i miei genitori, è sacro. Perché una donna non si può chiamare Luciano?». E poi, al di là della ripugnanza per pedofili e nazisti, Lucy non recrimina mai, non si lamenta, non giudica nessuno, nemmeno il rifiuto subito dalla famiglia: «Grazie, dicevo ai miei genitori. Vi ringrazio, perché a me piace essere così».

Il senso, in fondo, sta tutto nei versi della poesia scritta sui banchi di scuola: “Su un mondo di cose appassite, c’è un soffio di vita soltanto“. Ora, che quel refolo continui a soffiare sta a chi Lucy ha passato il suo testimone, affinché la sua memoria non sia messa a tacere dall’incedere sempre più minaccioso dei fantasmi del passato, affinché quell’applauso al Senato continui a risuonare in tutta la sua vergogna.

Un’immagine di C’è un soffio di vita soltanto (Courtesy Press Office)

Perché vedere C’è un soffio di vita soltanto

Manifesto contro la discriminazione, C’è un soffio di vita soltanto ha seguito Lucy Salani per un anno, lasciando che fosse lei a raccontare la sua storia, fatta di mille vite e di infiniti incontri.

Un documentario sincero e appassionato che merita di essere visto, malgrado qualche tentativo a tratti un po’ ingenuo di inseguire una strada più autoriale. In più di un passaggio, l’inserimento di digressioni che potremmo definire oniriche, a scapito di un ritratto più approfondito della protagonista, lascia qualche perplessità.

A compensare, per saperne di più su di lei, i tanti video e articoli disponibili sul web.

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Lucy Salani in C’è un soffio di vita soltanto (Courtesy Press Office)

Scheda del documentario su Lucy Salani

Presentato in anteprima fuori concorso alla 39esima edizione del Torino Film Festival, il documentario C’è un soffio di vita soltanto, diretto da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, racconta la vita di Lucy Salani, una donna transessuale di 96 anni, tra le poche deportate a essere sopravvissute al campo di concentramento di Dachau.

Hanno spiegato i registi: «Per un anno ci siamo immersi nella vita di Lucy, fatta di ricordi, incontri e momenti di solitudine. Ci siamo interrogati spesso su come mettere mano su un materiale umano così delicato e prezioso e siamo giunti alla conclusione che la regia dovesse essere messa al servizio della storia e, soprattutto, di Lucy. Siamo rimasti attaccati a lei per far sì che anche lo spettatore potesse vivere quest’esperienza esattamente come l’abbiamo vissuta noi. […] C’è un soffio di vita soltanto è la storia di un’identità che resiste e sopravvive, malgrado tutto, in un XXI secolo in cui il senso della memoria sembra affievolirsi di fronte al lento incedere dei fantasmi del passato».

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