Vaginismo: no, non è "tutto nella tua testa" e non hai nulla di sbagliato

Il vaginismo è una condizione frequente per molte persone. Nella nostra società è un tabù di cui si parla ancora poco. Proviamo a capire che cos'è e come poter recuperare una vita sessuale appagante e soddisfacente.

Che cos’è il vaginismo? Una bella rottura di gonadi, tanto per cominciare. Parliamo di una condizione che ti rende pressoché impossibile vivere una sessualità appagante e soddisfacente.

A voler essere più tecnici possiamo inquadrare il vaginismo come una contrazione involontaria della muscolatura vaginale, non riconducibile ad anomalie di tipo organico.

È tutto nella tua testa”, direbbe qualcuno. In realtà è molto di più. Questo tipo di contrazione rende estremamente doloroso, a volte impossibile, il rapporto sessuale o qualunque pratica che comporti la penetrazione.

L’incidenza si assesta tra il 15-17%, raggiungendo percentuali ancora maggiori in casi di persone con disfunzioni sessuali. In altri casi, alcune matrici biologiche, come l’ispessimento dell’imene o l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico, possono contribuire ad aumentare il grado di stress e tensione, e rendere quindi la penetrazione altrettanto difficoltosa.

Il vaginismo, inteso come questa contrazione involontaria, si distingue invece dalla dispareunia, ovvero la fobia anticipatoria della penetrazione, e la vulvodinia, una condizione patologica caratterizzata da dolore cronico vulvare.

Ho sofferto di vaginismo per qualche anno, e non è stata una delle esperienze più entusiasmanti della mia vita. Avevo difficoltà ad avere rapporti completi e soffrivo molto, tanto da arrivare a rifiutare ogni rapporto sessuale e soprattutto ogni contatto fisico, proprio per paura del dolore che avrei provato. Nel mio caso, anche provare a reperire qualche informazione utile su internet, è stato un atto eroico.

Era il 2009 e in giro non c’era granché; qualche forum di storie improbabili, qualche richiesta d’aiuto disperata da parte di chi, almeno, aveva avuto la spinta a cercare qualche risposta, ma nella maggior parte dei casi il grande mare magnum del web mi portava sempre a qualche patologia incurabile. Meglio fermare lì le mie ricerche.

Qualche tempo dopo mi sono decisa a rivolgermi al Consultorio della mia città, dove la povera professionista di turno, pensando di risollevarmi, ha sentenziato: “Non c’è nulla che non vada”. Questa frase non ha fatto altro che gettarmi in una disperazione ancora più profonda, perché non c’era una cura o una terapia che mi permettesse di guarire dalla mia precaria condizione.

Dopo averla tirata un po’ per le lunghe, dando l’idea che fossi anche una signorina perbene che non si concedeva con tanta facilità, mi trovavo sempre nella condizione di dover raccontare di me e del mio problema. Quella che il malcapitato di turno riceveva come una confidenza da accogliere con una certa compassione, per me non era altro che l’ennesima violenza a cui mi sottoponevo, sentendomi costretta in una condizione che ero io stessa a causarmi.

l’ennesima violenza a cui mi sottoponevo, sentendomi costretta in una condizione che ero io stessa a causarmi.

Ora, come per molti altri temi, il problema principale risiede nel fatto che questo, come molti altri temi che investono la sessualità, sia ancora un tabù, un problema che si affronta e in cui ci si contorce in solitudine.

Nel nostro Paese manca una educazione vera e onesta alla sessualità. Non quella che risponda alla domanda “come nascono i bambini?”, per intenderci, ma a tutto quello che investe non soltanto la mera genitalità, ma che comprenda l’approccio al sesso, all’emotività che può scatenare e anche a tutti quegli incidenti di percorso che dovrebbero essere normalizzati e condivisi all’interno della nostra società.

Nel corso della mia vita e del mio lavoro ho conosciuto altre persone che hanno sofferto di questa problematica; per alcune non è stata una particolare tragedia, ma ha rappresentato soltanto un breve segmento della loro vita, mentre per altre, me compresa, è stato un lungo percorso che ha inciso inesorabilmente sull’autostima e sulla qualità della propria vita.

La mia “questione” col vaginismo si è risolta attraverso un lavoro su me stessa che mi ha permesso di conoscere meglio il mio corpo, accogliendomi con un filo di indulgenza che non guasta mai. Vorrei riuscire a fornire delle guide pratiche utili, con dei consigli particolarmente efficaci, ma probabilmente farei un torto a chi legge queste parole. Lo farei perché ogni corpo e ogni storia sono diversi, e proprio per questo non esistono formule magiche che permettano di risolvere il problema attraverso pratiche univoche.

Tuttavia ci sono alcune considerazioni che potrebbero aiutarci a comprendere meglio i meccanismi, o semplicemente a sentirci meno sole.

Il vaginismo riguarda molte persone

Ovviamente pensare che sia un fenomeno comune, e quindi che molte persone, anche più di quello che pensiamo, soffrano di vaginismo, non ci aiuterà a stare meglio. Tuttavia, ci aiuterà a sentirci meno sole, che è un elemento estremamente importante.

Infatti, uno dei problemi maggiori, risiede proprio in questa condizione di isolamento, e di negativa “unicità”, di cui le persone che soffrono di vaginismo si sentono portatrici. Molte volte ho pensato che nessuno avrebbe potuto capire realmente il mio problema o quelle che erano le mie emozioni, mentre la realtà è che ci sono tante persone che si sentono prossime a questo tipo di comprensione.

Fortunatamente, ad oggi, internet offre delle possibilità maggiori (e più serie) di quelle che ho avuto io all’epoca. Trovare fonti di informazioni adeguate e accreditate, cercando storie e testimonianze, può essere un gran sollievo.

Il sesso non è solo penetrativo

Questo è frutto di un retaggio culturale e sociale ben consolidato. Per intenderci, è quell’ideale pornografico che punta tutto sulla prestazione e sulla penetrazione.

Il sesso non comprende soltanto la genitalità, ma è composto da una serie di fattori, anche e soprattutto non di tipo penetrativo, che andrebbero approfonditi e sperimentati all’interno della coppia. Molte donne pensano di non aver vissuto un rapporto sessuale perché non hanno avuto l’orgasmo attraverso la penetrazione; altre, di contraltare, credono che il rapporto sessuale si può dire soddisfacente e concluso nel momento in cui è il/la partner abbiano raggiunto l’orgasmo.

La realtà è molto più complessa di una mera equazione matematica, soprattutto se parliamo di sessualità. I fattori in gioco sono tanti, il sesso può essere fragile, divertente, avere tante sfumature che non convergono forzatamente nella penetrazione. In questo caso, se si è in coppia, provare a confrontarsi e a sperimentare, potrebbe essere d’aiuto. Non bisogna dimostrare niente a nessuno, meno che mai a noi stesse o a chi ci è accanto.

Impariamo a conoscere il nostro corpo

Il fatto che abbiamo a che fare con noi stessi da quando siamo nati, non sempre vuol dire che ci conosciamo a fondo. Cosa ci piace? Cosa ci eccita? Cosa invece ci mette ansia o ci spaventa?

Ecco, queste sono domande che a volte non ci poniamo mai, dando sempre un po’ tutto per scontato, perché “è così che si fa”. Imparare a esplorare e familiarizzare con il nostro corpo è il punto di partenza necessario per ogni tipo di reciprocità.

Il corpo non è una macchina, è suscettibile a variabili organiche, emotive e relazionali di cui non possiamo non tenere conto. Lo scopo non è quello di “sbloccarci” (sì, il meccanismo che entra in ballo è proprio questo), ma di comprendere quali sono le strade che attraversano il nostro piacere.

Non c’è nulla di sbagliato

Siamo perfettamente normali, non c’è nulla di sbagliato e si possono trovare modi per stare bene, da sole o in coppia. So che è una frase banale, ma ripetersela come un mantra potrebbe sicuramente aiutare. All’epoca avrei voluto sentirmelo dire, poi ho imparato che avrei dovuto dirmelo anzitutto da sola.

Parlarne, conoscersi e rispettarsi. Questo è il grande atto d’amore che dobbiamo a noi stesse, ogni giorno.

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