Un vecchio adagio recita che “dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna” e spesso è impiegato per giustificare la presenza riservata e silenziosa di persone del genere femminile relegate a ruoli marginali e poco incisivi, specie se inseriti in contesti politici, nei quali al massimo si diventa first lady con l’obiettivo di cambiare la tappezzeria delle stanze presidenziali o, al limite, di presiedere qualche associazione benefica.

E anche se a noi non piace moltissimo l’utilizzo di questa frase, la cui maternità pare sia di Virginia Woolf, perché sa di “contentino morale” per le donne che sono state, invece, pioniere più degli uomini in molti ambiti (come ad esempio le scienze), vale la pena abbracciarlo ma, soprattutto contestualizzarlo, per parlarvi di Lynne Cheney, di fatto, a nostro avviso, il cuore e l’anima della storia di Vice.

La narrazione dell’ultimo film di Adam McKay, distribuito dalla Eagle Picture Italia e vincitore del miglior montaggio (Hank Corwin) ai BAFTA 2019, è dedicata all’ascesa politica di Dick Cheney (Christian Bale) che, da portaborse dell’advisor economico Donald Rumsfeld (Steve Carrell) dell’amministrazione Nixon, diviene vice-presidente degli Stati Uniti d’America durante il mandato di George W. Bush II (Sam Rockwell), esercitando di fatto un potere ben più allargato del suo ruolo e assumendo posizioni di vero e proprio comando in fatto di politica estera, di amministrazione della difesa e delle energie.

Guardando questa incredibile pellicola, scioccante, ipnotica e, a tratti cruda, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci se Dick Cheney sarebbe davvero diventato l’uomo più potente del mondo se non avesse incontrato sua moglie Lynne (Amy Adams).

Il film si apre con le terribili scene di quel lontano, ma sempre vicino, 11 settembre 2001 e gli ordini dati da Dick Cheney nella stanza dei bottoni. Salvo il fatto che, accompagnati dalla voce narrante di Kurt (Jesse Plemons), personificazione di un qualunque cittadino americano, di cui solo verso la fine scopriremo il vero ruolo funzionale alla storia, subito torniamo indietro nel 1963.

In quegli anni Dick, scapestrato e alcolizzato giovane studente universitario espulso dal college, sta con Lynne, brava e giudiziosa ragazza, portatrice dei grandi valori d’America. Benché intagli cuori sugli alberi che custodiscono i loro nomi, Dick è davvero un ragazzo molto deludente e scansafatiche. Dopo l’ennesima sbronza e il conseguente arresto per guida in stato di ebbrezza, Lynne gli dà un ultimatum: o si mette in regola e diventa l’uomo di potere e di polso che lei, in quanto donna, non potrà mai divenire, o le loro strade si separeranno per sempre.

Il discorso della nostra protagonista è molto chiaro e diretto, è una vera e propria dichiarazione d’intenti che sottolinea, come se fosse un urlo interiore, la sua necessità di realizzarsi attraverso i successi del marito. Non poteva essere diversamente in quegli anni e non solo in America; non che oggi la situazione sia cambiata di molto nella sostanza, ma negli anni ’60 era impensabile che una donna potesse sedere sulla plancia di comando di un’azienda o ricoprire incarichi istituzionali di una certa importanza.

Al massimo poteva stare qualche passo dietro al proprio compagno (pardon marito). Al massimo poteva e doveva far funzionare a menadito il ménage casalingo mentre lui, l’uomo di casa, era fuori a dar battaglia a mostri di ogni sorta e tornare vincitore a casa ogni sera. Al massimo poteva stare “nell’ombra” e muovere i fili dell’esistenza propria e altrui come un abile burattinaio. Lynne Cheney ha scelto per sé e per suo marito quest’ultima opzione senza più guardarsi indietro.

La sua ambizione e sete di potere sono state la vera benzina dell’uomo che ha finito per governare il mondo, la vera testa che, attraverso le mani del marito, è giunta a realizzare un sogno e a centrare gli obiettivi di una vita che da sola non sarebbe mai stata in grado di raggiungere: non per incapacità o per mancanza d’intelligenza e di determinazione, ma, ribadiamo, perché il suo essere femmina in una società fortemente maschilista e volgare non le avrebbe mai consentito.

Di questo stato Lynne ne è terribilmente consapevole. A dirla tutta, fino a quando Dick non ha assaporato per bene e da solo il gusto del potere, è proprio Lynne il deux ex machina di tutta la sua carriera politica; è lei che infiamma il cuore degli elettori durante la campagna elettorale del marito in corsa per divenire il rappresentante del Wyoming e che, colpito da infarto, non può apparire in pubblico. L’intervento dell’abilissima Lynne, con quel suo tono apparentemente dimesso, da brava madre di famiglia che deve stare attenta ai conti di casa come ogni “moglie americana”, lo riporta a essere tra i favoriti.

È lei che lo incita a non mollare mai perché “quando ottieni il potere, devi tenerlo stretto. Sempre!”. È lei che lo fa crescere come uomo e come professionista, incoraggiandolo come fosse un bambino che ha bisogno di continui incitamenti materni.
È lei che si dovrà fermare con disappunto e ridimensionare l’insaziabile fame di potere davanti al coming out di sua figlia Mary che, di fatto, arresta la corsa politica dei Cheney: la coppia Cheney è potente e indissolubile, l’uno è niente senza l’altro. Grazie alla caparbietà di Lynne, Dick matura una personalità politica forte, discreta, temibile, divenendo l’uomo che lei voleva. Il resto, purtroppo, è triste storia dei giorni nostri.

I due protagonisti del film sono stati candidati agli Oscar 2019 (la pellicola ha però vinto “solo” la statuetta per il miglior trucco e acconciatura) ma, risultato a parte, ci sarebbe piaciuto che entrambi fossero stati in lizza tra i migliori attori “protagonisti” di Vice, non solo Christian Bale, indiscusso mostro sacro di interpretazione e di trasformismo. Ma forse per veder realizzato questo sogno, il titolo del film avrebbe dovuto essere “Vice – l’uomo e la donna nell’ombra”.

A questo link il trailer ufficiale

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!