C’è capezzolo e capezzolo?  Sembrerebbe proprio di sì, almeno per tutti coloro che reputano normale vedere un uomo a torso nudo e si scandalizzano se una donna fa altrettanto.

Non si sa bene per quale ragione, qualcuno, in un passato remoto, deve aver deciso che i capezzoli maschili sono socialmente accettabili mentre quelli femminili rimangono un tabù inamovibile; forse perché vi si vede una connotazione esclusivamente sessuale, legata più in generale al seno della donna? Eppure, a ben pensarci, da lì ci siamo nutriti tutti (o quasi) nelle prime fasi della nostra vita, quindi perché il capezzolo femminile faccia tanta paura ai benpensanti non si capisce.

Non a caso, ormai da qualche anno è nato un vero e proprio movimento per “liberare” appunto il capezzolo dallo stigma sociale che lo relega a essere ben celato sotto magliette e reggiseno, il famoso #FreetheNipple. Abbiamo bisogno di una campagna combattuta a suon di hashtag per far valere il diritto di ogni donna a non doversi preoccupare di nascondere i capezzoli? Evidentemente sì, se l’aura che li circonda è ancora così pregna di pregiudizio e sconcerto.

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La questione è tornata alla ribalta recentemente, dopo l’halftime show dei Maroon 5 al Super Bowl, in cui il frontman, Adam Levine, ha dato vita a un vero e proprio spogliarello sul palco, rimanendo a petto nudo, con muscoli, tatuaggi e capezzoli in bella vista mentre cantava Moves kile Jagger (replicando, peraltro, lo stesso “look” del videoclip). Certamente un bel vedere, per carità, ma la mente per i più saldi di memoria, è subito tornata a 15 anni fa: stessa situazione, lo show di metà tempo dell’evento sportivo più importante negli USA, cantante diversa.

Nel 2004 fu Janet Jackson a restare con un capezzolo in bella mostra, facendo scoppiare quello che all’epoca fu definito il Nipplegate: durante la performance con Justin Timberlake, infatti, qualcosa andò storto e, anziché restare con il reggiseno rosso a vista dopo che quest’ultimo avrebbe dovuto strapparle il corsetto, il costume crollò più del necessario, lasciando solo una stellina argentata a coprire il capezzolo  di Janet.

Niente di trascendentale, ma abbastanza per smuovere le coscienze puritane dei conservatori americani, che, gridando allo scandalo, chiesero persino l’apertura di un’inchiesta “rapida e approfondita” sulla vicenda attraverso la figura di Michael Powell (figlio dell’ex segretario di Stato, Colin Powell), allora presidente dell’ente federale che vigila sui programmi radiotelevisivi. Non solo: dopo l’incidente la regia spostò provvidenzialmente la telecamera su altre immagini, mentre la Cbs, Mtv e la lega nazionale del football americano trovarono opportuno scusarsi per l’iniziativa della cantante, sottolineando di essere stati tenuti all’oscuro.

Per finire, Janet Jackson fu letteralmente bandita dai successivi Super Bowl, mentre Justin Timberlake dovette fare pubblica ammenda prima dell’esibizione del 2018; la colpa della signora Jackson è di aver contribuito a diffondere “il fiume di volgarità e oscenità”che i conservatori degli States tentano faticosamente di arginare.

D’accordo, ma l’interrogativo resta sempre lo stesso: perché ai capezzoli di un uomo è concesso comparire davanti a milioni di persone senza che nessuno se ne senta disturbato, mentre una donna deve fare molta attenzione a non lasciarli nemmeno intravedere sotto la maglietta, per non essere tacciata di volgarità? È quello che si stanno chiedendo in molti sui social, ma la risposta, semplicemente, non c’è.

Sia chiaro, avere la libertà di non doversi preoccupare dei propri capezzoli in vista non significa dover andare al mare in topless o non potersi sentire in imbarazzo se si notano sotto il top; ma quello riguarda la singola attitudine di ogni donna, e il fatto di sentirsi o meno a proprio agio in una determinata situazione. Abbattere il tabù sui capezzoli femminili significa semplicemente non sentirsi in colpa né scandalose se si fanno vedere, accidentalmente o meno. E considerarli esattamente uguali a quelli di un uomo, realtà che molti faticano ancora ad accettare.

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