Come sappiamo da qualche tempo la Commissione Europea ha deciso di usare il pugno duro contro l’uso indiscriminato dei prodotti di plastica usa e getta, avviando un piano per metterli via via al bando. Una manovra indispensabile per porre un freno all’utilizzo di quelli che, a tutt’oggi, rappresentano fra le maggiori cause di inquinamento degli oceani e delle acque dolci di superficie, e che mostra quindi una particolare sensibilità della Commissione UE verso le problematiche ambientali. Tanto che è stato chiesto di dare al tema massima priorità, così da poter avere i primi risultati concreti entro la primavera del 2019, quando ci saranno le elezioni europee.

Cosa prevede il piano?

Semplicemente la responsabilità dei produttori di una serie di prodotti, come stoviglie, o palloncini, allargata all’onere di sostenere economicamente la gestione e la bonifica dei rifiuti.

Il problema è che nella lista dei prodotti incriminati sarebbero dovuti rientrare anche gli assorbenti, interni e non, uno dei cinque rifiuti più diffusi sulle spiagge di tutta Europa. Prodotto su cui già in molti paesi europei le donne pagano l’aliquota massima, e che proprio in virtù della tassazione alta, è diventato oggetto di moltissime campagne di movimenti femministi e associazioni varie, volte ad abolire la cosiddetta “tampon tax” riducendo quella che, a tutti gli effetti, è una spesa obbligata per le donne.

Per fortuna, come scritto da Politico, almeno per ora la Commissione Europea ha eliminato i prodotti mestruali dalla bozza finale della lista di articoli da tassare per via dell’impatto ambientale. La decisione appare naturalmente ragionevole, dato che applicare a questi prodotti l’aliquota massima, proprio perché il loro acquisto non dipende da una scelta delle donne, ma è vincolato, è un paradosso.

Nel tempo, infatti, già molti paesi della UE – e non solo – hanno adottato politiche diverse per venire incontro alle donne: il Regno Unito, ad esempio, nel 2000 ha provveduto ad abbassare l’IVA sui prodotti sanitari femminili dal 17,5 al 5%, mentre nel 2015 in Francia le imposte sono state abbassate dal 20 al 5,5%. Per non parlare del test condotto ad Aberdeen, in Scozia, nell’agosto 2017, quando è stato deciso di fornire gratuitamente assorbenti e altri prodotti sanitari femminili essenziali alle studentesse. Test trasformatosi definitivamente in realtà nel settembre 2018.

Uscendo dai confini europei, invece, sempre nel 2015 il Canada aveva eliminato del tutto la tassa su tamponi, assorbenti e coppette mestruali,

La Commissione Europea avrebbe deciso di eliminare i prodotti mestruali dalla bozza finale perché non dovrebbero essere considerati come un qualunque altro rifiuto.

Il rischio che i produttori avrebbero fatto ricadere i costi aggiuntivi per la nuova tassa sulle donne sarebbe stato reale, come sottolineato dall’eurodeputata irlandese Lynn Boylan, che al Parlamento europeo fa parte del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (GUE/NGL); per questo, ha detto, in virtù della natura del prodotto, occorrerebbe trovare una soluzione alternativa.

Ad esempio, potrebbe essere pensato un piano di educazione al consumo per prodotti riutilizzabili, come le coppette mestruali, oppure potrebbe essere sviluppata una campagna di informazione sul corretto smaltimento di tamponi e assorbenti monouso.

La responsabilità principale dell’inquinamento prodotto dagli assorbenti, infatti, come sostengono anche i produttori, sta proprio nell’incapacità, da parte delle donne, di smaltirli correttamente. Molte, ad esempio, soprattutto se alle prime armi, non sanno che tamponi e assorbenti non devono essere gettati nel water. La misura migliore per contrastare l’inquinamento da prodotto mestruale starebbe dunque proprio in una maggiore educazione.

Già, ma cosa cambierebbe a livello di costi?

Le alternative sostenibili potrebbero avere problemi di costi, di accessibilità e di comodità, anche se, facendo un rapido calcolo, a fronte della maggiore spesa iniziale per prodotti non monouso, come la coppetta, si trarrebbe un maggior risparmio sul lungo periodo.

Una coppetta mestruale costa circa 20-30 euro, un paio di mutande che assorbono il ciclo circa 30 euro, e bisogna averne diverse a disposizione, perciò i costi iniziali potrebbero rappresentare un ostacolo per le donne con reddito basso. Un altro problema potrebbe poi essere rappresentato invece dalla comodità e praticità, dato che la biancheria intima riutilizzabile richiede molto tempo per asciugarsi, mentre le coppette mestruali devono essere lavate e svuotate ogni 4-8 ore, iter spesso difficile per una donna che lavora.

A frenare l’argomento in sede di discussione europea potrebbe essere l’imbarazzo ancora presente in merito, anche da parte delle donne stesse, sostiene Boylan, senza contare che ora la proposta della Commissione sui prodotti di plastica usa e getta dovrà passare all’esame del Parlamento europeo e poi essere valutata anche dal Consiglio, motivi per cui, durante l’iter, potrebbero esserci altre modifiche e integrazioni.

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