Figli che uccidono i genitori: 7 casi shock

Per soldi, per odio o per ribellione. 7 storie diverse ma ugualmente tragiche, 7 casi che hanno sconvolto la cronaca italiana: protagonisti figli che uccidono i genitori. Da Erika a Pietro Maso fino alla recente tragedia di Ferrara, un viaggio difficile che ripercorre vicende orribili e inspiegabili.

Uno dei casi più recenti, in ordine di tempo, è stato quello di Pontelangorino, il paesino nella provincia ferrarese sconvolto, nel  gennaio 2017, dal massacro dei coniugi Salvatore e Nunzia Vincelli. A uccidere a colpi d’ascia la coppia un ragazzo di appena 17 anni, “assoldato” dal migliore amico, nonché figlio delle due vittime, deciso a liberarsi dei genitori, giudicati troppo pressanti, invadenti, soffocanti.

Ma quello di Riccardo e Manuel, dicevamo, è soltanto l’ultimo atroce episodio di figli che ammazzano madri e padri; ragazzi adolescenti o poco più che, spinti da ragioni diverse ma tutte assurdamente lucide, uccidono con freddezza, spietatezza, con incomprensibile ferocia coloro che li hanno messi al mondo.

Moventi differenti, scenari di vita completamente diversi: c’è chi ha ucciso per questioni di eredità, chi per un amore ostacolato, eppure, al di là delle ragioni puramente “materiali” del gesto, rimane da capire qualcosa di più profondo, e forse difficilmente raggiungibile: come sia possibile che un figlio possa decidere di togliere la vita a un genitore, come possa un ragazzo architettare piani talmente diabolici da poter essere partoriti dalle menti criminali più feroci, come possa un figlio nutrirsi di un odio talmente vasto da pensare alla morte della propria madre o del proprio padre.

Incredibile leggere fatti di cronaca di genitori che uccidono, violentano o fanno del male ai figli, ma lo è altrettanto venire a conoscenza del contrario.

Vi raccontiamo 7 casi tristemente famosi in Italia di figli che hanno ucciso i propri genitori.

1.Riccardo e Manuel

Fonte: web

Forme di eliminazioni così feroci, come tagliare la testa con un’ascia, non è una eliminazione qualunque. Richiede un collegamento con dei modelli, con cose viste come i massacri dei suoi videogames.

Così la psicologa Maria Rita Parsi, da sempre molto attenta al comportamento di bambini e giovanissimi, ha tentato di spiegare il gesto folle di Riccardo, il sedicenne di Pontelangorino che il 10 gennaio del 2017  ha chiesto al migliore amico Manuel di uccidere i suoi genitori, proprio con un’accetta, per mille euro. I due ragazzi avevano orchestrato un piano veramente diabolico, inscenando prima un tentativo di rapina finito male in casa Vincelli, salvo poi tradirsi fino a confessare l’orrendo duplice delitto. Gli inquirenti infatti, ispezionando la villetta della tragedia, non hanno creduto alla prima versione dei ragazzi e, tramite un altro interrogatorio, li hanno spinti alla confessione.

Nei giorni seguenti all’omicidio sono state percorse diverse ipotesi alla ricerca di un potenziale movente: i brutti voti di Riccardo a scuola, i continui litigi con la madre che lo avevano spinto a vivere nel garage indipendente rispetto alla casa dei genitori, il rapporto ossessivo con Manuel, in cui quest’ultimo pareva succube rispetto al primo, fino ai videogiochi, di cui i due ragazzi erano appassionati. La Parsi ha parlato di “modelli di odio e distruttività” presi proprio dai videogames, mentre un altro esperto, lo psichiatra Vittorino Andreoli, ha detto a proposito:

Io ho lavorato parecchio sul fenomeno dei videogiochi, dove la missione spesso è quella di eliminare sagome umane. Basta cliccare e si abbatte una persona, e vince chi ne abbatte di più.

Nel febbraio 2018  Manuel, diciottenne, e Riccardo, un anno in meno, sono stati condannati a diciotto anni di carcere per il duplice omicidio.

Un anno dopo il primo ha chiesto di ricorrere in Cassazione, mentre il figlio dei Vincelli, come spiegato dal suo avvocato Gloria Bacca ha scelto, dopo attenta valutazione, di rinunciarvi.

2. Igor Diana

Fonte: web

L’11 maggio del 2016 in una villetta indipendente di Settimo San Pietro, in provincia di Cagliari, vengono ritrovati i corpi di Giuseppe Diana, 67 anni, ex chef impegnato nel volontariato, e della moglie Luciana Corgiolu, 62 anni. A dare l’allarme era stato un parente, che aveva trovato i due cadaveri, su cui erano evidenti i segni di bastonate e coltellate, dopo essersi introdotto nell’abitazione avendo cercato invano di mettersi in contatto con loro. A uccidere la coppia è stato Igor, 28 anni, uno dei due ragazzi che i coniugi Diana avevano adottato dalla Bielorussia. L’altro figlio, Alessio, militare in Piemonte, era stato subito rintracciato, mentre Igor aveva fatto perdere le proprie tracce, anche se la sua fuga è durata poco. Il ragazzo era stato trasferito nel carcere di Uta, dove il 5 dicembre 2016 si è impiccato.

La disperazione, un incolmabile senso di umana solitudine, l’angoscia per un futuro senza prospettive, l’ansia di dover dare risposte. Il suicidio in carcere di un ragazzo di 28 anni, padre di una bimba, lascia tutti interdetti. Non ci sono parole che possano essere utili per spiegarlo. Né possono rendere meno amara la notizia i probabili sensi di colpa.

Così la presidente dell’associazone Socialismo Diritti Riforme, Maria Grazia Caligaris, si è espressa dopo il ritrovamento in cella del cadavere di Igor, che era stato definito dal proprio avvocato “incompatibile con la vita in carcere”.

3. Valerio Ullasci

Fonte: web

Li ho uccisi io. Dovevo punire mio padre e mia madre. Mio padre perché quando ero piccolo abusava di me e mia mamma perché sapeva tutto e lo proteggeva. Erano entrambi molto violenti con me. Non ce la facevo più.

Così, nel dicembre 2008, il trentenne Valerio confessa agli agenti della squadra mobile di Roma il duplice delitto commesso con un machete, con cui ha tolto la vita a Vincenzo, 59 anni, e Maria, 61. Una vera e propria esecuzione premeditata, tanto che lo stesso omicida confessò di essersi allenato tutto il giorno con l’arma per prepararsi. I corpi dei genitori, poi, sono stati fatti a pezzi. Non solo le presunte violenze sessuali ai danni di Valerio rientrano tra i possibili moventi: la tragedia potrebbe essere maturata dopo che Valerio avrebbe iniziato a frequentare alcune sette sataniche, e la modalità fredda e lucida con cui ha agito potrebbe sottintendere proprio la messa in pratica di qualche rituale appreso durante gli incontri.

4. Erika e Omar

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Noi abbiamo visto che di fronte ad un amore sbagliato o ad una cattiva compagnia, la repressione pura serve a poco. Anzi, nel caso di una storia tra giovanissimi, la resistenza agli adulti si trasforma in un cemento sentimentale, coalizzarsi nella rabbia e nella complicità diventa, paradossalmente, una forma di passione, un sentimento che, nelle sue forme estreme può diventare omicida verso chiunque si opponga alla sua realizzazione. (Massimo Ammaniti, psicoanalista)

Sono tragicamente passati alla storia i fidanzatini di Novi Ligure che, il 21 febbraio del 2001, compirono la mattanza nella casa dove Erika abitava con i genitori e il fratellino Gianluca, appena dodicenne. Lei, sedicenne, la mente del piano, con la complicità di Omar Favaro, più grande di un anno, uccise prima la madre, Susy Cassini, con 40 coltellate, poi Gianluca, con 57 fendenti, inscenando successivamente una rapina finita in tragedia dove sarebbero stati coinvolti degli extracomunitari. Avendo visto la totale assenza di segni di effrazione nella villetta, tuttavia, gli inquirenti iniziarono a dubitare della versione fornita dall’adolescente, e nella successiva conversazione tra i due fidanzatini, registrata presso la caserma dei Carabinieri, il quadro ha assunto le oscure tinte che conosciamo tutti. I brutti voti a scuola, le cattive frequentazioni di Erika le possibili cause scatenanti della furia omicida della ragazza, che voleva uccidere anche il padre, salvatosi perché assente da casa. Nel 2010 Omar è stato scarcerato, mentre la stessa sorte è toccata alla ex fidanzata un anno più tardi.

Omar pare avere una moglie e un figlio, anche se ha ammesso di “sognare ogni notte le urla di Gianluca”, mentre Erika si è laureata in carcere in Lettere moderne con 110 e lode, ma si è spesso lamentata di non riuscire a trovare un posto di lavoro fisso a causa del suo passato. Il padre, Francesco De Nardo, scampato alla mattanza perché assente, è tornato a vivere nella villetta di Novi Ligure dopo averla ripulita.

5. Carlo Nicolini

Fonte: web

Carlo Nicolini, nel luglio del 1995, a Sestri Levante, ha sparato ai genitori, infierendo poi con una mannaia prima di sedersi in poltrona a guardare la tv. Una lite durante la cena ha scatenato la furia improvvisa del ragazzo ventiseienne, che con cinque colpi di fucile ha ucciso il padre Mario, 72 anni, medico in pensione, ricco e molto noto in paese, e la madre Letizia, 61 anni, che era stata suora nel reparto d’ospedale dove aveva conosciuto l’ odontoiatra poi diventato suo marito tramite un matrimonio “riparatore” da cui è nato quell’unico, amatissimo figlio. Timido, riservato, di poche parole,  Carlo era un ragazzo benestante, ma senza ambizioni, dedito al lavoro della terra. Una furiosa lite con la madre sarebbe alla base dell’orribile duplice omicidio. Ora Nicolini, che ha un patrimonio stimato in circa 8 milioni di euro (lasciatigli proprio dai genitori in eredità) vive nella comunità terapeutica di Montezemolo, in provincia di Cuneo, e non ha mai più visto Sestri Levante.

6. Pietro Maso

Fonte: web

Il male che ha trasformato il ragazzino Piero in Pietro Maso è grande e terribile. Atroce e solo in parte spiegabile. Anche da lui stesso: ‘L’ho fatto per i soldi, i vestiti, i profumi’. L’ha fatto per comprarsi una Bmw bianca con gli interni bianchi e i sedili in pelle, 47 milioni di lire di allora. L’ha fatto perché quel Nord-Est dove cresceva era la locomotiva d’Italia, il denaro era la misura della realizzazione di se stessi, più ne hai più vali. (Carlo Verdelli, La Repubblica)

Il 17 aprile 1991, con l’aiuto di tre amici, il ventenne Maso uccise i genitori, Antonio e Mariarosa Tessari, nello loro casa di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, per intascare subito la sua parte di eredità. Arrestato il 19 aprile dello stesso anno, è stato condannato definitivamente a trent’anni di carcere, con il riconoscimento, però, della seminfermità mentale al momento del fatto. È stato rimesso in libertà dopo ventidue anni di carcere, ma nel marzo dello scorso anno è stato ricoverato presso in clinica psichiatrica dopo aver minacciato le sorelle. Nell’aprile del 2013 è uscito il libro Il male ero io, dove Pietro Maso racconta, con la collaborazione della giornalista Raffaella Regoli, il delitto ma soprattutto il percorso interiore compiuto nei ventidue anni trascorsi nel carcere di Opera, a Milano. Ai suoi complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, è stata inflitta una pena di ventisei anni, mentre all’allora minorenne Damiano Burato tredici.

Intervistato da Maurizio Costanzo nell’ottobre del 2017, Maso disse:

Oggi mi sento forte davvero per la prima volta perché sono me stesso. Sono pentito di quello che ho fatto e sono qui per ricostruire la mia vita, questa è la mia rinascita. Penso che i miei genitori mi accompagneranno a essere veramente la persona di oggi.

Riguardo alle sorelle, Maso ha confessato:

Sì, ho pensato di ucciderle. Mi sono trovato in un momento a riprendere la vita quasi da come l’avevo lasciata. Ho vissuto uno sdoppiamento di personalità dovuto anche alla droga. Ero un’altra persona ma adesso non sono più in grado di uccidere. Sono in comunità, voglio una vita semplice e vera.

7. Ferdinando Carretta

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Carretta uccise a colpi di pistola i genitori, Giuseppe e Marta, e il fratello Nicola nella loro abitazione di via Rimini a Parma. Dopo aver compiuto il triplice omicidio, premeditato con estremo sangue freddo, Ferdinando abbandona i corpi in una discarica, dove non saranno più ritrovati, e fugge a bordo del camper dei genitori per sviare ogni sospetto, abbandonandolo nei pressi di un parcheggio, a Milano, prima di partire per Londra. Tanto che, fino al 1996, la famiglia Carretta viene creduta viva a Barbados, nonostante l’allora pm Antonio Di Pietro nutrisse forti sospetti circa il reale destino dei coniugi e del figlio minore. Nel 1998 Carretta confessa il delitto davanti alle telecamere di Chi l’ha visto e del giornalista Giuseppe Rinaldi. Ritenuto incapace di intendere e volere al momento del fatto, Carretta nel 1999 viene rinchiuso nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Incredibilmente, nel 2008, grazie a un accordo con le zie, l’assassino è riuscito comunque a ottenere l’eredità dei genitori – stimata in 250 mila euro – e la casa, venduta nel 2010; proprio dopo questa vendita Carretta è riuscito ad acquistare un’altra abitazione, a Forlì, dove vive dal 2015, dopo la scarcerazione.

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