Durante le proteste scoppiate in tutto il mondo a seguito dell’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un agente di polizia statunitense, i manifestanti hanno indirizzato il proprio malcontento anche nei confronti di alcune statue, considerate simbolo dell’oppressione razziale, dal mercante di schiavi Edward Colston a Cristoforo Colombo.

Anche in Italia inizia a farsi sentire un’insofferenza simile nei confronti di alcune statue, già mirino negli anni passati di atti volti a sottolinearne le “colpe”. È il caso per esempio del monumento celebrativo a Indro Montanelli. Il ricordo di quanto il giornalista ammise di aver fatto in Etiopia (aver sposato una dodicenne) desta infatti ancora oggi sdegno, e l’8 marzo 2019 il movimento Non Una di Meno, che lotta contro la violenza sulle donne, aveva già imbrattato con della vernice rosa lavabile la sua statua, posta vicino all’ingresso dei giardini pubblici a lui intitolati, lungo Corso Venezia, a Milano. Lo hanno fatto proprio per riportare alla memoria la violenza compiuta da Montanelli e oggi, sulla scia delle proteste, si chiede la totale rimozione e che il parco assuma un altro nome.

La richiesta, così come l’imbrattamento di un anno fa, ha scatenato molte polemiche, proprio perché in molti hanno fatto appello al fatto che fosse una “normale consuetudine” dell’epoca avere rapporti sessuali con ragazze che spesso arrivavano appena all’adolescenza.

Di certo non la pensava così Elvira Banotti.

Elvira Banotti è stata senz’altro una di quelle donne che hanno lasciato il segno nel costume e nella società del suo tempo, con tracce che sono ben visibili e palpabili ancora oggi.

La giornalista e scrittrice nata ad Asmara, in un tempo in cui quella parte d’Africa era strettamente legata all’Italia, dotata di quella che Giuliano Ferrara (che a lungo la ebbe come collaboratrice ne Il Foglio) definì una volta “bellezza a volte dolce ma non priva di una certa esotica torvaggine”, alla pari di Oriana Fallaci aveva le idee chiare su tutto, ed era fiera di portarle avanti, noncurante che piacessero o potessero attirarsi le altrui antipatie.

Nella sua vita pazzesca, tutta improntata a portare avanti un nuovo ideale di femminismo, quello della rivendicazione della propria autodeterminazione dal mondo maschile e della denuncia della prostituzione, morale prima ancora che fisica, imposta dal patriarcato, Elvira non si tirò mai indietro quando si trattava di combattere per i diritti femminili, anzi se ne fece voce e interprete principale, senza mai nutrire il timore di ripercussioni od ostracismi in virtù delle sue lotte.

Da trent’anni – disse di sé – interferisco nella vita pubblica italiana per combattere l’estetica della prostituzione.

Quella, sosteneva, che si evinceva chiaramente nell’accettazione passiva, da parte della società, dell’ideale del corpo femminile come prostituito e violato, evidente persino nella figura di Maria,

[…] madre sacrificata e muta, messa incinta a prescindere dalla sua volontà, un caso lampante di violazione del corpo femminile.

Non a caso duro, anzi durissimo fu il suo contrasto con la Chiesa, palesato in maniera inequivocabile da quel Tribunale 8 marzo fondato con altre femministe per processare proprio la massima istituzione religiosa.

Ma ancor più duro, se possibile, fu il confronto con Indro Montanelli, andato in onda nel 1969 durante la trasmissione L’ora della verità.

Quando disse a Montanelli: “Lei si vanta di aver violentato una dodicenne”

Il giornalista era ospite di Gianni Bisiach e, parlando anche della sua esperienza durante la guerra d’Etiopia del 1935, raccontò, dietro domanda del conduttore, della sua sposa dodicenne, chiamata Fatima o Destà – non è ben chiaro -.

Pare che avessi scelto bene, era una bellissima ragazza, Milena, di dodici anni – spiegò, rivolgendosi poi al pubblico per dire – Scusate, ma in Africa è un’altra cosa. Così l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre. […] Mi ha accompagnato assieme alle mogli dei miei ascari […] non è che seguivano la banda, ma ogni quindici giorni ci raggiungevano […] e arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita.

Del resto, in un’altra intervista rilasciata a Enzo Biagi Montanelli, come riporta il sito bufale.net che ha poi chiarito la vicenda, si sarebbe riferito alla moglie dodicenne dicendo:

[…] Aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle lì erano già donne.

L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire. […] Era un animalino docile, io gli misi su un tucul con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi insieme alle mogli degli altri ascari.

Non è stato certo l’unico ad avere rapporti con una minorenne, dato che nel periodo coloniale molti italiani godevano di questo particolare “privilegio”, chiamato madamato.

Proprio durante l’intervista di Gianni Bisiach, Elvira intervenne, “pressando” Montanelli e mettendolo in imbarazzo davanti al pubblico, al punto di dover interrompere la trasmissione.

Lei a 25 anni non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni dicendo ‘Ma in Africa queste cose si fanno’. Io vorrei chiederle come intende normalmente i suoi rapporti con le donne, date queste sue affermazioni?

Nonostante le risposte di Montanelli, che chiariva di non aver assolutamente usato violenza sulla dodicenne e di essersi equiparato, semmai, allo “standard” vigente nel paese africano, dov’era naturale per una ragazza così giovane sposarsi – ovvero essere comprata – Elvira Banotti incalzò il fondatore de Il Giornale, mettendolo in evidente difficoltà.

Sul piano di consapevolezza dell’uomo, un rapporto con una bambina di 12 anni è un rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa rischierebbe di violentare una bambina, è vero? […] Quale differenza creda esista dal punto di vista biologico, o psicologico? […] Non è il matrimonio che lei intende, io ho vissuto in Africa, quindi il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che si impossessava della ragazza di 12 anni, senza assolutamente tener conto di questo rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque […] Voi vedete sempre la donna in questa funzione passiva di adulatrice oppure di compagna, non l’ha mai vista in una funzione attiva e diretta. Questo è un po’  il dramma degli uomini della sua generazione.

A quest’ultima affermazione, Montanelli non poté che rispondere con un laconico “Può darsi”.

La precisazione sulla sposa di Montanelli

A onor del vero, vale la pena chiarire alcuni punti sull’unione stabilita da Montanelli con la ragazzina africana ai tempi della guerra etiopica; la moglie dodicenne esisteva effettivamente, ma non appena il giornalista tornò in Italia, fu abbandonata al suo tucul e al suo destino, dato che le leggi razziali allora in vigore non permettevano di elevare al rango di moglie donne appartenenti ad altre razze, ecco il motivo per cui la moglie bambina di 12 anni rimase al suo triste destino e non arrivò in Italia. Montanelli esercitò sulla sua giovanissima moglie il madamato, vero e proprio contratto sociale che permetteva al colonizzatore di dominare sull’indigeno, all’uomo sulla donna, all’adulto sul bambino, e che consentiva quindi di avere al proprio fianco una schiava più che una moglie.

Ma nel 2015, sulla pagina online della Fondazione Montanelli Bassi, è stata pubblicata una precisazione su questo argomento, dal titolo  Un’accusa ingiusta e strumentale:

[…] Montanelli infatti sposò sì la giovane Destà com’era usanza della popolazione locale, ma, per quanto oggi possa apparirci riprovevole, quel tipo di matrimonio era addirittura un contratto pubblico, sollecitato dal responsabile del battaglione eritreo guidato da Indro.

Si tratta di un episodio della sua vita, non imposto né attuato con violenza, che mai nascose.

Montanelli stesso tenne a precisare la natura della propria unione, nella sua Stanza del Corriere del 12 febbraio 2000:

[…] Dopo la fine della guerra e delle operazioni di polizia, uno dei miei tre ‘bulukbasci’ che stava per diventare ‘sciumbasci’ in un altro reparto (si tratta di gradi militari delle truppe indigene), mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizione… Nel ’52 chiesi e ottenni di poter tornare nell’Etiopia del Negus e la prima tappa, scendendo da Asmara verso il Sud, la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio bulukbasci, che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro. Donde la favola, di cui non sono mai più riuscito a liberarmi, che fosse figlio mio.

Un ricordo che meglio di ogni altra considerazione spiega l’atteggiamento di Montanelli che, in relazione a questo episodio, non può essere certamente accusato di violenza o di razzismo.

Mentre in un successivo articolo, sempre sul Corriere, Montanelli precisò ancora:

[…] La ragazza si chiamava Destà e aveva 14 anni: particolare che in tempi recenti mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei Paesi tropicali a quattordici anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile. […]

E a proposito di quel figlio, Indro, precisò che

Era nato ben 20 mesi dopo il mio rimpatrio.

In qualsiasi modo si voglia giudicare l’episodio di Montanelli, Elvira Banotti fu senz’altro una delle poche a lasciare senza parole uno dei signori del giornalismo italiano.

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