Mentre in Italia e in altri paesi della parte occidentale del mondo si è scatenata una vera e propria rivolta – legittima – contro la cosiddetta Tampon Tax, ovvero la tassa sugli assorbenti e i tamponi mestruali, che verrebbero considerati come beni di lusso, in alcune aree del pianeta il ciclo mestruale è ancora soggetto a credenze e superstizioni che, seppur arcaiche, contribuiscono a riversare la donna in uno stato di emarginazione sociale e ostracismo. Associate a impurità, peccato e “sporcizia”, le mestruazioni sono il motivo per cui, in determinati gruppi, le donne vengono allontanate dalla vita della comunità, relegate a vivere in totale isolamento ed estraniazione per la durata del ciclo.

Oltre alle implicazioni morali di questo atteggiamento, però, che è indubbiamente frutto di retaggi maschilisti ancora estremamente radicati in talune realtà, l’aspetto che preoccupa maggiormente gli attivisti che cercano di lottare contro simili pratiche è proprio quello dell’incolumità della donna che viene isolata a causa del ciclo: solo a gennaio del 2019, una ragazza nepalese di 22 anni, Gauri Kumari Budha, è stata trovata morta nella capanna di fango senza finestre dove era stata esiliata perché mestruata, rimasta soffocata dal fumo di un fuoco che aveva acceso per riscaldarsi.

Proprio in Nepal, del resto, è tuttora vigente un rituale abominevole, il chaupadi, che impone alle donne che hanno il ciclo di vivere per tutto il periodo isolate, in situazioni spesso al limite del vivibile, con i rischi che abbiamo appena visto.

Formalmente vietato nel paese dal 2005, il chaupadi rimane tuttavia ancora in vigore presso alcune comunità, come pure accade in India e in Bangladesh; nell’agosto del 2017 il parlamento nepalese ha approvato una legge che prevede tre mesi di carcere e una multa per chi continua a portare avanti la pratica, ma bisognerà attendere l’agosto del 2019 per vedere la sua effettiva applicazione e capire quanto sarà realmente applicata.

Dal Nepal arriva anche Radha Paudel, attivista per i diritti umani che da quasi dieci anni si occupa di migliorare le condizioni educative e culturali del suo popolo, proprio per porre fine anche alle assurde superstizioni che penalizzano le donne e le mestruazioni.

Del resto, lei stessa ha provato sulla sua pelle cosa significhi essere una donna in Nepal, come raccontato nell’intervista concessa a Vanity Fair:

A 7 anni vidi il sangue sulle gambe di mia madre e rimasi traumatizzata dalla sua spiegazione. Poi ho visto le violenze disumane subite dalle mie tre sorelle maggiori durante i giorni delle mestruazioni. Per questo ero terrorizzata e all’età di 9 anni ho tentato il suicidio. Non sono morta e cinque anni dopo è arrivato il mio primo ciclo mestruale. Sono scappata via di casa correndo più forte che potevo. Ho vagato per cinque giorni, per non subire tutto quello che nel mio Paese le donne vivono durante il ciclo.

In gallery, scopriamo qualcosa di più su questa donna che sta lottando con tenacia per provare a cambiare le cose in un paese tutt’oggi ancorato alle sue credenze più arcaiche.

Radha Paudel: “Quando ho tentato il suicidio a causa delle mestruazioni”
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