
Naomi Wolf: "Perché la mia vagina fa paura"
Naomi Wolf tra la terza ondata del femminismo, la confessione sullo stupro subito da bambina e quella vagina che "fa paura".

Naomi Wolf tra la terza ondata del femminismo, la confessione sullo stupro subito da bambina e quella vagina che "fa paura".
Nel 2018 l’attivista Naomi Wolf ebbe parole dure nei confronti della femminista australiana Germaine Greer, dopo l’uscita di On rape, il saggio in cui quest’ultima esprimeva pensieri come “Ciò che distingue il crimine di stupro dagli altri assalti è l’irrisolvibile enigma del consenso“, “Il sesso non consensuale è banale e profondamente ordinario, ma questo non vuol dire che non sia un male” o distingueva lo stupro “violento” da quello definito “pigro, distratto e insensibile”.
Wolf, attivista con un passato politico alle spalle, come consigliere di Al Gore e Bill Clinton, giornalista, autrice, una che del femminismo di seconda generazione ha fatto un vero e proprio mantra, ha attaccato duramente il libro della Greer, uscendo, durante la sua accusatoria al saggio, con una rivelazione sorprendente: quella di essere stata lei stessa vittima di uno stupro, a soli sette anni, perpetrato dal baby sitter – maschio – cui la famiglia l’aveva affidata.
L’uomo l’avrebbe costretta un rapporto orale il primo giorno, e quello seguente a uno completo.
Comprensibile, quindi, che il libro della Greer sia stato da lei definito “incoerente, pieno di affermazioni a casaccio“. E, soprattutto, basato su un presupposto del tutto sbagliato fin dal principio, quello secondo cui lo stupro sia solo “La penetrazione del pene nella vagina di una donna non consenziente”.
A sette anni sono stata stuprata in modo orale la prima notte e vaginale la seconda: la prima non conta?
Questo è quello che l’autrice de Il mito della bellezza ha detto a proposito del concetto espresso in On rape, ribadendo, di fatto, quello che troppo spesso chi parla di stupri e violenze solo dall’esterno sembra dimenticare: che l’aggressione sessuale non si esplichi esclusivamente in un rapporto di penetrazione, ma abbia molte più facce e sfumature, tutte egualmente gravi e in grado di lasciare ripercussioni e ferite profonde, psicologiche prima ancora che fisiche, su chi le subisce. E che una donna, che ancora oggi definisce lo stupro subito da bambina come “il punto più vicino alla morte mai vissuto”, non si meriti di sentirsi “esclusa” dalla schiera delle vittime degne di essere giudicate tali, per essere gettata in una sorta di limbo indefinito.
Wolf si dichiara offesa da quella che Greer chiama la “paura del pene” provata dalle giovani donne, sostenendo anche che “un uomo non possa ucciderti con il pene“, e il motivo non è difficile da intuire; è, quest’ultima, un’affermazione la cui gravità si percepisce in maniera palpabile, perché è come se in un certo qual modo si volesse ridurre l’importanza di un gesto alle ferite o ai danni fisici in grado di lasciare addosso. Eppure, sono le ferite psicologiche, quelle dell’anima, spesso, le più dure a guarire, quelle che non passano, a dispetto di cicatrici, ematomi e dolori. Perché, come Wolf ha scritto nell’articolo del Times in cui ha criticato il libro di Greer denunciando, al contempo, l’episodio subito durante l’infanzia,
Ciò che è dannoso è l’esperienza di non essere assolutamente nulla in presenza di un altro essere umano.
Naomi Wolf è una delle voci più importanti di quello che è stato definito il femminismo di “terza generazione”, anche se a sua volta ha trovato voci contrarie alle sue posizioni e teorie, ad esempio con l’uscita del libro Vagina: A New Biography, del 2012, che ha dato vita a un vero e proprio scontro tra lei e un nutrito gruppo di femministe e intellettuali. Wolf si è difesa parlando di “paura della vagina”.
[…] altri critici, anche femministe, mi accusano di una specie di eresia contemporanea – ha scritto – La mia opera è un resoconto dei più recenti risultati in campo neuroscientifico e di altre nuove conoscenze che aggiornano in modo significativo la nostra comprensione del desiderio sessuale, dell’eccitazione e dell’orgasmo femminili in un’epoca in cui le conoscenze convenzionali sulla risposta sessuale femminile a livello di ricerca si sono fermate a qualche decennio fa, con Masters e Johnson, in un tempo in cui, pur vivendo in una società ipersessualizzata, il 30 per cento delle donne americane riferisce di non riuscire con certezza ad avere un orgasmo quando lo desidera. Quindi, non è giusto riportare nuove informazioni sulla risposta sessuale femminile?
[…] Scrivendo in modo aperto del desiderio femminile e accendendo un riflettore sul legame ormai assodato tra cervello e vagina e sulla nuova scienza del piacere femminile, mi sto allontanando dalla grande tradizione femminista o le sto facendo onore? Io credo nella seconda ipotesi. Confrontandomi con il corpo non intendo dire che le donne sono solo corpo, è piuttosto un segno di rispetto verso l’intelligenza dei miei lettori: alcune situazioni sono socialmente costruite, altre hanno una base biologica e i miei lettori sono abbastanza intelligenti da saper valutare in quale mondo si trovano in base al momento.
Dopo l’uscita del saggio-choc di Greer più che naturale, quindi, che Naomi Wolf non potesse tacere. Non solo per il fatto di essersi fatta carico della voce femminista degli ultimi anni, per il fardello che ha scelto di portare sulle spalle come simbolo dell’impegno e della responsabilità verso le donne, per lo scontro generazionale tra due tipi di femminismo diversi (anche se rimane da capire dove il femminismo della Greer si esprima, in quest’ultimo lavoro), ma come donna stuprata in primis. Anzi, come bambina stuprata. Che è pure peggio, perché vaglielo a spiegare a una bambina che nemmeno sa cosa sia il sesso, figuriamoci il significato di consensuale o no, che può definirsi violentata solo se è stata penetrata, non se è stata costretta a un rapporto orale.
Del resto, Wolf non ha mai avuto paura di far sentire la voce, nemmeno quando si è trattato di scagliarsi contro gli stereotipi estetici che hanno sempre coinvolto le donne; quando Il mito della bellezza è uscito, nel 1991, Naomi Wolf ha analizzato la frustrazione e l’infelicità delle donne che non riuscivano a uniformarsi allo standard prodotto da quelle modelle magrissime in voga nel decennio, criticandone al contempo l’esempio malsano, in un saggio che, a tutti gli effetti, ancora oggi può considerarsi assolutamente attuale.
Più le donne superano ostacoli legali e materiali, più severo, pesante e crudele diventa il peso delle immagini di bellezza che ci pendono sul capo – scrive – Nel passato decennio, le donne hanno creato una frattura nella struttura del potere; allo stesso tempo, i disturbi dell’alimentazione hanno aumentato la propria incidenza in maniera esponenziale e il settore della chirurgia estetica è cresciuto rapidamente; la pornografia è diventata la categoria mediatica più richiesta, ancora prima di venire legittimata (??), e 33mila donne Americane rispondono ai ricercatori che che preferirebbero perdere da 5 a 7 kg più che raggiungere qualsiasi altro obiettivo.
Più donne possiedono più denaro e potere e opportunità e riconoscimenti legali di quanto sia mai successo in precedenza; ma in termini di come ci sentiamo con noi stesse fisicamente, potremmo realmente sentirci peggio rispetto alle nostre nonne ancora non liberate dal femminismo.
La tesi principale esposta nel libro ha a che fare con il male gaze, e con quella controcultura che tende a sottolineare l’importanza della bellezza femminile al solo scopo di tenere le donne “al proprio posto”.
Un secolo fa le normali attività femminili, specialmente il tipo di attività che avrebbero portato le donne al potere, erano classificate come brutte e malate. Se una donna leggeva troppo, il suo utero sarebbe andato incontro ad atrofia. Se continuava a leggere, il suo apparato riproduttivo sarebbe collassato e, in accordo con le “informazioni” mediche dell’epoca, “saremmo arrivati ad avere un inutile e ripugnante ibrido”.
La partecipazione alla vita moderna, l’educazione e l’impegno lavorativo erano considerate attività che avrebbero portato le donne Vittoriane alla malattia; i Vittoriani quindi protestarono di fronte alla possibilità di una maggiore istruzione femminile, immaginando che questa avrebbe danneggiato i loro organi riproduttivi. Ed era ritenuto certo che “l’educazione delle donne le avrebbe rese sterili” e rese sessualmente poco attraenti: “Quando una donna mostra interessi scientifici, vuol dire che c’è qualcosa che non va nella sua sessualità”.
Per fortuna, donne come Naomi Wolf hanno ampiamente dimostrato il contrario.
Articolo originale pubblicato il 11 Novembre 2019
Storicamente, negli Stati Uniti le donne si sono impegnate sul versante delle tematiche politiche più disparate. Da quelle per i diritti sindacali a quelle per i diritti civili delle minoranze di colore, dal movimento Free Speech a quello pacifista contro la guerra in Vietnam – ha detto una volta Naomi Wolf nel corso di un’intervista per L’Espresso, nel 2008 – Negli ultimi anni, a livello federale è aumentato significativamente anche il numero delle donne che si stanno presentando alle elezioni.
Ma il più delle volte si tratta di scelte individuali. Il movimento femminista in quanto tale per adesso su questo fronte rimane dolorosamente assente e invece dovrebbe scegliere di emergere dall’ambito delle tematiche sessuali e della contraddizione maschio-donna per impegnarsi nella lotta alla tirannia e al fascismo. Non bisogna fargliene però una colpa se le femministe non sono così impegnate come dovrebbero. Quello dell’espansione della democrazia è un fronte sul quale la società civile nel suo complesso dovrebbe essere impegnata e invece, di sicuro negli Stati Uniti, ci crogioliamo tutti in un’orgia di consumismo e superficialismo.
Siamo diventati tutti accessori della macchina del consumismo. Accumuliamo beni invece di amicizie, viaggiamo dappertutto nel mondo invece di passare le giornate con i nostri cari. Sono sicura che se le donne occidentali riscoprono la centralità della famiglia anche gli uomini saranno incoraggiati a trovare un modo di sottrarsi alla duopolio lavoro-consumismo che monopolizza la loro vita.
Giornalista e autrice, Wolf è diventata molto famosa nel 1991 con il libro The Beauty Myth, che indagava sulla pressione che il maggior potere sociale femminile portava alle donne, improvvisamente costrette ad aderire a standard sociali irrealistici di bellezza fisica, obbligo cresciuto anche a causa delle influenze commerciali sui mass media. Con questo bestseller Wolf è diventata una portavoce di quella che fu in seguito descritta come la terza ondata del movimento femminista. Altri titoli sono stati The End of America, nel 2007 e Vagina: A New Biography, uscito nel 2012.
In un articolo pubblicato su The New Republic Wolf ha criticato alcune posizioni pro-abortiste, sostenendo che il movimento avesse “sviluppato un lessico di disumanizzazione”.
L’aborto dovrebbe essere legale, a volte è addirittura necessario, a volte la madre deve essere in grado di decidere che il feto, nella sua piena umanità, deve morire.
Ha anche aggiunto:
L’aborto non è un problema del fanatismo in stile Magazine o di una reazione religiosa repubblicana suicida, ma un problema complesso.
Chiaro anche il pensiero sul ruolo predominante che le donne cresciute nella società occidentale stiano assumendo nelle formazioni politiche neo fasciste e di stampo xenofobo.
La teoria femminista della seconda ondata abbonda di affermazioni che la guerra, il razzismo, l’amore per la gerarchia e la repressione generale appartengono al ‘patriarcato’; la leadership femminile, al contrario, creerebbe naturalmente un mondo più inclusivo e collaborativo. Il problema è che non ha mai funzionato in quel modo, poiché l’ascesa delle donne alle posizioni di leadership nei partiti di estrema destra dell’Europa occidentale dovrebbe ricordarcelo. Leader come Marine Le Pen del Fronte nazionale francese, Pia Kjaersgaard del Partito popolare danese, e Siv Jensen del Partito progressista norvegese riflettono il fascino duraturo che i movimenti neofascisti hanno verso molte donne moderne, nate e cresciute in democrazie liberali egualitarie e inclusive.
Rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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