Non abbiamo bisogno di vederla in televisione, a Sanremo o su un palcoscenico. A chi tempo fa le scriveva nella posta su Vanity Fair che il suo sogno era di poterla vedere e ascoltare di nuovo in concerto, Mina rispose concedendo una meravigliosa immagine onirica.

Grande orchestra schierata a semicerchio. A sinistra: 24 violini, 12 viole, 12 celli, 4 bassi con arco. A destra: piano, basso elettrico, 4 chitarre, batteria e percussioni. Ah, dimenticavo il coro. Due uomini e due donne, direi. Entro in smoking, travestita da Frank Sinatra, con le sue corde vocali, la sua precisione musicale e linguistica e canto, canto a perdifiato e a perdicuore. Nella platea di un teatro non troppo grande di Las Vegas o di Milano soltanto tu sei seduto ad ascoltarmi e, per tanto che tu ti esalti, la standing ovation che mi dedichi è abbastanza discreta, poco fragorosa. Così non mi spavento e posso eseguire tutto un concerto fatto di note persino dentro le consonanti, di swing naturalissimo, di perfezione quasi involontaria. Introduco ospiti d’onore come Elvis, Ella, Gardel. Non male. Che ne pensi? Mi diverto anche a concedere bis.

Mina è un ritratto in bianco e nero, una fantasia, una città vuota, una voce grande, grande, grande. Perché sentiamo il bisogno di vederla, quando possiamo ascoltare ancora e ancora le sue canzoni?

No, non abbiamo bisogno di sapere dove fa la spesa, come si veste, come muove le mani e cosa fa nel tempo libero. Ci bastano lo stereo acceso e le parole usate tanto tempo fa da Totò per descriverla.

Quell’anima lunga che sembra un contrabbasso con tutte le corde a posto, quelle carni bianche da gelato alla crema, quella creatura che recita poco e male, ride al momento sbagliato, coprendosi la bocca con la mano. Ma se si spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate.

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Mina, la diva italiana più misteriosa di tutti i tempi
Fonte: Facebook / Mina official
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