Il caregiver è, come suggerisce la parola stessa: colui che si prende cura. Si tratta di una figura che, benché non abbia una collocazione e un inquadramento specifico e tutelato all’interno della nostra legislazione e del sistema di welfare, è numericamente in aumento.

Cresce il numero di anziani e di malati che hanno bisogno di assistenza continua, assistenza che viene prestata molto spesso dai familiari. Sono figli, fratelli, mogli che si occupano in tutto e per tutto del loro caro. Un impegno gravoso sul piano pratico (perché influisce sul lavoro, sul tempo libero, sugli interessi personali, sui progetti e le aspirazioni), ma anche su quello emotivo (perché il coinvolgimento è maggiore).

Una ricerca condotta da Ipsos per Farmindustria in collaborazione con Onda, su un campione di 800 donne adulte in Italia, ha stimato che per 9 su 10 quella del caregiving è una realtà quotidiana e balza agli occhi un dato: il 51% delle intervistate si è detto insoddisfatto. Prendersi cura a tempo pieno di un malato grave incide, ovviamente, sulla propria qualità della vita. Implica rinunce, spesso ci si sente soli e abbandonati, non solo dal resto della famiglia, ma anche dalla comunità, dalle istituzioni. Tutto questo e molto altro lo racconta Stefania Marta Piscopo nel suo libro Mi manca la tua voce (edito da La Memoria del Mondo).

La diagnosi di SLA è stato il fulmine a ciel sereno che ha cambiato radicalmente la vita di Stefania, infermiera con un’esperienza decennale in rianimazione, che abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia:

La mia vita è cambiata drasticamente e irrimediabilmente. Io sono diventata la caregiver principale di mamma, essendo infermiera. A livello lavorativo ho dovuto chiedere un part time, il tempo pieno era diventato impossibile. E a livello personale c’è stato un ribaltamento delle nostre vite. Io sono sposata: per un anno non ho proprio più vissuto, non c’erano feste, non c’erano fine settimana, non c’era un cinema.

Un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché arrivavo a fine giornata stremata, un po’ perché l’umore non c’era. Anche se ti imponi di continuare la tua vita normale non ce la fai, diventa estremamente difficile. Dal momento della diagnosi c’è stato un prima e c’è stato un dopo, ma non solo per me, per tutta la famiglia. Chi in un modo e chi nell’altro tutti eravamo cambiati.

Da infermiera Stefania ha potuto mettere a disposizione una serie di competenze e conoscenze del settore che molti altri caregiver non hanno.

Io sapevo come muovermi: sapevo lo specialista che mi serviva, l’esame da fare, dove andare, a chi rivolgermi. Chi non ha questa “fortuna” non so davvero come faccia, perché è una cosa talmente grande che si viene travolti a livello morale, psicologico, fisico, pratico: bisogna gestire un ventilatore, l’ossigeno, servono competenze enormi. Ci si può fare aiutare da associazioni specifiche (nel mio caso l’AISLA), per entrare in contatto con badanti: che però non sono infermieri. A un malato di SLA, nello specifico, servono persone con competenze molto alte.

E qui si arriva alla nota dolente: il sostegno pratico, l’aiuto economico che ricevono le persone che hanno in casa un malato di SLA, ma che può essere anche un malato di Parkinson o Alzheimer o un disabile. Insomma, chiunque necessiti di assistenza continua.

Il mio Comune mette a disposizione uno sportello gratuito dove richiedere una badante, nel nostro caso ci aiutava durante la notte. Questa è stata la prima cosa che abbiamo attivato. Poi la Regione mette a disposizione la misura B1 per la gravissima disabilità, che corrisponde a circa 900 euro al mese. Dietro c’è molta burocrazia: ASL, verbale di accompagnamento, verbale di invalidità, lettera dello specialista, dichiarazione da parte del medico palliativista.

Oltre ai documenti, poi, la graduatoria è trimestrale, con una commissione che valuta la persona, la famiglia, il contesto. Nel mio caso, nessuno mi aveva detto di questa possibilità. Finché abbiamo raccolto i documenti e si è espressa la commissione è trascorso quasi un anno. E qui la beffa: il primo accredito dei 900 euro è arrivato il giorno dopo che mia mamma è venuta a mancare. Immaginavo che con una diagnosi di SLA venissero presi maggiormente in carico il malato e la famiglia, che dunque a partire dalla diagnosi qualcuno ci dicesse come procedere, di quali aiuti usufruire. Così non è stato, per quanto riguarda noi abbiamo avuto pochissima informazione, nessuno ci ha detto come muoverci.

E in questo percorso a ostacoli, ci si scontra non solo con la burocrazia ma anche con se stessi, perché un conto è prendersi cura di un paziente “estraneo” e un altro è accudire la propria madre, vederla cambiare, sapere che non guarirà.

Io con un paziente estraneo riesco a tenere un distacco, c’è l’empatia certo, ma con mia mamma io per un anno ho messo da parte il ruolo di figlia. Non riuscivo a scindere le due cose: ero infermiera prima di tutto, non figlia che va a trovare la propria madre, le si mette di fianco, chiacchiera. Il ruolo di figlia è stato quello che mi è mancato di più, perché poi quando mia mamma è venuta a mancare è stato un impatto devastante.

Un aiuto fondamentale e da non sottovalutare è quello in termini umani. Non a caso, consapevole di ciò, Stefania ha deciso di fare tesoro della sua esperienza, di quel bagaglio di sentimenti e stati d’animo comuni a coloro che vivono la situazione del caregiving. Frustrazione, rabbia, solitudine, abbandono, disperazione si possono superare parlando, confrontandosi, dandosi reciprocamente forza. Ed è quello che ha deciso di fare dando vita alle pagine Facebook e Twitter Essere un caregiver. La community dà voce e presta ascolto a chi ogni giorno assiste e si prende cura di un proprio caro, tra mille difficoltà. Con lo stesso scopo ha pubblicato il libro, di cui parte del ricavato è devoluto all’Hospice di Abbiategrasso.

«Ho letto Mi manca la tua voce e mi sento meno sola, ora so c’è qualcuno che vive le mie stesse cose». Questo è il messaggio più bello che ricevo da chi lo ha letto.

Sfogliate la gallery per conoscere meglio la storia di Stefania:

"Mi manca la tua voce: l'anno in cui sono diventata l'infermiera di mia madre"
Stefania Marta Piscopo
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