Dove eravate quando Kurt Cobain si è suicidato? È una frase che quelli tra noi che sono stati adolescenti o poco più negli anni ’90 si sono sentiti ripetere spesso. Quel 5 aprile 1994, il giorno in cui il frontman dei Nirvana si tolse la vita, il grunge trovò la propria parabola più tragica. Cosa è accaduto? Tutti i fan si sono posti la domanda.

Le verità certe sono due. La prima è che il giorno della morte di Kurt molti di noi hanno compreso quanto possa essere orribile essere una star, quanto siano pesanti le aspettative del pubblico e come questa facciano sentire una persona dotata di una sensibilità straordinaria come Kurk. La storia del cantante dei Nirvana ha rappresentato qualcosa che si è ripetuto nel tempo, che affonda le radici nelle vicende tragiche delle dive degli anni ’50 come Marilyn Monroe, prosegue lungo l’intero Club 27 – di cui anche Kurt fa parte – e giunge fino a Philip Seymour Hoffman, alla sua morte improvvisa e senza un perché, e a Chris Cornell, Chester Bennington o Dolores O’Riordan, mostrandoci forse il vero volto del grunge.

La seconda è una citazione di Neil Young, diventata lo specchio di una generazione perduta, che ne ha fatto un manifesto dopo aver saputo che era nella lettera di suicidio di Kurt Cobain:

meglio bruciare subito che spegnersi lentamente.

Il corpo di Kurt Cobain fu trovato l’8 aprile 1994 da un elettricista, ma la morte fu fatta risalire ad alcuni giorni prima dal coroner. Accanto al cadavere c’era un biglietto e un fucile a pompa, creduto nella versione ufficiale l’arma del suicidio. Nel tempo però sono stati sollevati molti dubbi, soprattutto relativi al ruolo della moglie di Cobain, Courtney Love, con la quale aveva avuto una figlia, Frances Bean Cobain.

Alcuni di questi dubbi sono al limite del complottismo – all’epoca si disse, per esempio, che nessuno avrebbe potuto suicidarsi da seduto con un fucile a pompa, a meno di usare le dita dei piedi. Gli altri sono relativi ad alcuni documenti trovati in casa di Cobain. Tra questi ci sono i falsi voti nuziali scritti per scherzo, in cui l’immagine di Courtney viene dipinta in maniera tutt’altro che lusinghiera. Ma che non sono stati ritenuti sufficienti per riaprire il caso a venti anni di distanza, come qualche studioso aveva richiesto.

Per alcuni è stato facile puntare il dito su Courtney Love. I due si conobbero nel 1989 – lei era la cantante delle Hole, per i profani un gruppo grunge interamente femminile – e condivisero l’amore e la passione per l’eroina. Tanto che dopo la nascita di Frances Bean, la bambina fu portata via dai genitori per un breve periodo, dopo l’accusa alla madre di aver preso droghe in gravidanza. Qualcuno vedeva Courtney e Kurt come i Sid e Nancy degli anni ’90 – tra l’altro, caso volle che Love fosse proprio nel cast del biopic su Sid Vicious e Nancy Spungen diretto da Alex Cox.

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La lettera di suicidio di Kurt Cobain è tanto suggestiva e famosa che viene riportata nel libro C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo di Efraim Medina Reyes. Nel volume si parla di una chitarra immaginaria che Kurt suonava da adolescente quando non poteva suonarne una vera, che però, una volta adulto Kurt non riesce più a “suonare”. Una vera e propria testimonianza della solitudine e della frustrazione che un genio può percepire.

C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo

C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo

Efraim Medina Reyes cita Kurt Cobain e un frammento della sua lettera di addio nella storia di Rep, una specie di eroe perseguitato dal destino, in fuga dalla realtà immobile di Cartagena, ma soprattutto dalla ragazza che gli ha spezzato il cuore.
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La missiva è rivolta a Boddah, l’amico immaginario dell’infanzia del musicista.

A Boddah.
Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere un bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, come l’etica dell’indipendenza e della comunità si sono rivelati esatti. Non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai.

Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento alzarsi forte l’urlo del pubblico, non provo quello che provava Freddie Mercury, che si sentiva inebriato dalla folla, ne traeva energia e io l’ho sempre ammirato e invidiato per questo. Il fatto è che non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l’apprezzo, Dio mi sia testimone che l’apprezzo, ma non è abbastanza).

Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo coinvolto e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Sono troppo sensibile. Ho bisogno di stordirmi per ritrovare quell’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e credo di amare troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, pezzo dell’uomo Gesù! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.

Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.

Frances e Courtney, io sarò al vostro altare.
Ti prego Courtney tieni duro, per Frances.
Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me.
Vi amo. Vi amo.

Al di là dei dubbi, di quanto questa storia rappresenti ancora una ferita aperta per i fan, resta la melodia di una canzone dei Nirvana del 1990, All Apologies, che è dolce e dovrebbe evocare serenità nelle intenzioni iniziali del cantante. Ma molti ci leggono un primo indizio di come sarebbe andata a finire. È tutto nell’ultima frase, ripetuta ad libitum. Si tratta di uno dei grandi misteri della musica ed è molto affascinante. Le parole recitano:

all in all is all we all are.

(Tutto sommato è tutto ciò che siamo)

"Non provo più emozioni": la lettera che Kurt Cobain scrisse prima di suicidarsi
Fonte: Lapresse | AP/Lapresse
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