Qualche giorno fa, come molti altri organi di informazione, vi avevamo raccontato la storia di Don Giuseppe Berardelli, arciprete di un paesino della provincia bergamasca, Casnigo, che si sarebbe reso protagonista di un bellissimo gesto di altruismo, rifiutando il respiratore donato dai suoi affezionati parrocchiani dopo che il religioso era risultato positivo al COVID-19, per regalarlo a un giovane sconosciuto.

Dato che il compito di chi fa informazione è, prima di tutto, quello di fornire notizie veritiere, e che al tempo stesso, da umani e in quanto tali fallibili, capita anche a noi di prendere un granchio ogni tanto, scriviamo questo articolo per farvi sapere che la notizia di Don Berdardelli è risultata essere una bufala, prontamente smascherata dal sito bufale.net, da sempre molto attento a sondare le notizie diffuse dai media e ad accertarne la veridicitià.

Ma in realtà Don Giuseppe Berardelli è morto come un uomo di chiesa giusto e caritatevole – si legge sul sito -ma non ha avuto bisogno di spogliarsi dei mezzi per la sua sopravvivenza.

A smentire la notizia è Vatican News, che spiega come il parroco si sia aggravato e poi sia deceduto molto rapidamente, ben prima che il respiratore potesse essere acquistato dalla comunità dei suoi fedeli.

La comunità di Casnigo, che già due anni fa aveva dimostrato il suo legame affettivo al suo parroco per un problema oncologico, ha subito pensato a cosa fare, a come organizzarsi, magari anche con una colletta per comprare un respiratore. Le buone intenzioni, però, non hanno avuto il tempo di diventare realtà. Don Giuseppe si è aggravato velocemente ed è morto in quattro giorni, in un ospedale tra tanti ammalati isolati e soli. La comunità, spiegano dalla curia di Bergamo, non ha potuto acquistare il respiratore. 

Nemmeno la casa di riposo ha dato una sua apparecchiatura come qualcuno ha ipotizzato nei giorni scorsi. Il Comune di Casnigo è venuto a conoscenza di questa intenzione. Ma l’ospedale è tenuto a rispettare restringenti norme sanitarie per ricevere apparecchiature e deve osservare precisi protocolli. Garantisce, in ogni modo, le cure più adeguate ed efficaci a tutti coloro che vi accedono secondo comprovati standard. Ma oltre la morte restano le strade tracciate e gli insegnamenti dati. Più importante del ‘come del ‘cosa’ è la testimonianza lasciata da don Giuseppe.

È chiaro che conoscere la verità non sminuisca la figura di Don Giuseppe, descritto come “un pastore umile e vicino alla gente”, ma è altrettanto importante fornire a chi ci legge le giuste informazioni e, quindi, fare un doveroso mea culpa di fronte a un errore, che non c’è vergogna o imbarazzo ad ammettere, perché commesso in buona fede.

Forse, in un momento tanto difficile come quello che stiamo attraversando per via dell’emergenza Coronavirus, c’è bisogno di storie che rappresentino il lato più buono e generoso dell’umanità, che ci facciano ben sperare per un futuro sicuramente più roseo, dopo tanta sofferenza. Ma non si possono trovare la speranza, l’altruismo, il sorriso, nelle notizie false, o costruite ad hoc per risultare sensazionalistiche e piacere ad ogni costo, solo per accaparrarsi un pugno di like o qualche lettore in più. Non è il nostro scopo, né la nostra deontologia, che ci spinge a raccontarvi sempre e comunque la verità, anche a costo di risultare talvolta pesanti o persino “catastrofisti”.

Stiamo seguendo come voi questi giorni impegnandoci per fornirvi contenuti di approfondimento di qualità, raccogliendo le vostre storie, le vostre voci, perché sappiamo benissimo quanto, in questo momento, sia importante non sentirsi soli.

Perciò ci perdonerete, lo speriamo, se anche noi siamo caduti nella falsa rete della storia di Don Giuseppe, la cui morte non aveva bisogno di essere spettacolarizzata né “abbellita”, ma a cui abbiamo creduto, in buona fede, consapevoli del grande spirito umanitario della persona di cui abbiamo parlato.

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