Biotestamento. Negli ultimi anni si è sentito sempre più spesso parlare di questo documento che permette  ad una persona di esprimere la sua volontà circa le terapie che intende o non intende accettare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte. Un testamento sulla propria vita. Un documento che rende la persona padrona della propria esistenza anche quando è ormai incapace di esprimere le proprie volontà. Una procedura che “risparmia” ai parenti le difficili decisioni circa la vita della persona cara che in quel momento si trova in uno stato di incapacità decisionale.

Con la maggioranza dei voti, Milano si aggiunge a Roma, Torino, Firenze, Napoli e alle altre città italiane che hanno deciso di adottare un registro per le dichiarazioni di fine vita. Il Comune lombardo non potrà custodire fisicamente le suddette dichiarazioni circa le cure da accettare, donazioni di organi, cremazione e dispersione delle ceneri ma avrà un registro che attesta il deposito di questi atti presso un fiduciario terzo: notaio, medico o avvocato.

Il biotestamento continua a dividere l’Italia, come molti altri temi circa l’eutanasia, la donazione degli organi, l’accanimento terapeutico, e via di seguito. Ma non è forse giusto che ogni persona possa decidere della propria vita e della propria morte? In assenza di un documento in cui esprimere le proprie volontà, le decisioni spetterebbero ai parenti più prossimi: e con quale risultato? Non è forse una tortura decidere della vita di una persona cara? Non tutti riescono a rispettare in pieno le volontà di una persona che ormai non può più decidere per sé: vuoi per mancanza di coraggio, vuoi per l’amore e il rifiuto di perderla, vuoi per la speranza che succeda un miracolo.

Qual è il confine tra il diritto ad essere curati, il dovere di prestare cure e il diritto di morire? Forse la volontà della persona?

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