Mi chiamo Giulia Perinelli, ho vent’anni e questo non vuole essere il solito articolo sull’anoressia.
Ho scoperto da poco che alcune persone giovani a me care soffrono di disturbi alimentari e ho deciso di approfondire l’argomento,soprattutto cercando di capire cosa spinge a farsi così male.
Mi è venuta l’idea di scrivere “un appello” sulla pagina facebook della mia università ( Università Cattolica del Sacro Cuore) del seguente tenore letterale: “-Sono una studentessa di Linguaggi dei media. Vorrei intervistare ragazzi che soffrono di anoressia e/o bulimia per un articolo che sto scrivendo. 
Se qualcuno è interessato mi contatti”

Alcune ragazze mi hanno subito contattata, si sono fatte avanti senza farsi pregare, ansiose di conoscere le domande a cui avrebbero dovuto rispondere.
I ragazzi, invece, mi hanno bombardata di domande, mi hanno chiesto soprattutto di non fare mai i loro nomi .
Le domande che ho posto ( le medesime per tutti) sono state cinque:

  1. Che cos’è per te l’anoressia?
  2. Ti sei accorto da solo di soffrirne o te l’ha fatto notare qualcuno?
  3. Secondo te è legato ad un fattore estetico?
  4. Pensi che sia possibile uscirne da soli?
  5. Cosa ti senti di dire a chi ne soffre?

Alla prima domanda mi hanno risposto tutti nello stesso modo: l’anoressia è un mostro.
É come se questi ragazzi la identificassero come un’identità a parte, come qualcosa che ha preso forma e vita e ha iniziato la battaglia contro di loro e, quindi, non come una loro malattia. Le ragazze hanno avuto il bisogno di raccontarmi le loro storie, grazie alle quali ho compreso che la maggiorparte di loro ha iniziato a punirsi smettendo di mangiare a causa di cattiverie dette da persone a loro vicine ( compagni di scuola, parenti, amiche strette o “bulli”). Ho capito che la colpa delle insicurezza che nascono nei miei coetanei non è solo dei modelli proposti dalla società ( come le modelle quasi invisibili..) ma le parole di chi è presente nella loro quotidianità.
Altra causa sono i genitori spesso assenti.
P.L., ventunenne studentessa di giurisprudenza, mi ha scritto:”-..Speravo che notando le porzioni quasi minime nel mio piatto mio padre mi dicesse qualcosa, per lo meno si accorgesse di me e mi sgridasse.”

Anche alla seconda e la quarta domanda mi hanno risposto tutti nello stesso modo: nessuno si è accorto di cosa stava davvero accadendo e tutti pensano sia impossibile uscirne da soli.
Sono invece discordanti le opinioni sul fattore estetico e sono stati solo i tre ragazzi a rispondere di si.
Ognuna di queste persone vorrebbe che nessun altro soffrisse come è successo a loro e a tutti i giovani si sono sentiti di dire che c’è sempre una soluzione e che bisogna farsi aiutare da subito.
Sono molto vicina ad alcune persone che hanno queste difficoltà e posso affermare che non è facile stare vicino a chi ha problemi alimentari poiché creano un muro intorno a loro, costruito da insulti, paure, cattiverie e rancore.
R.A. mi ha raccontato:“-..odiavo tutti, ero arrabbiata con loro perchè ero arrabiata con me stessa. Sotto sotto volevo il loro aiuto ma mi rifiutavo di farglielo capire”.


L’anoressia è un urlo di dolore silenzio, una straziante richiesta di aiuto e di affetto.
Bisogna essere capaci di ascoltarlo e sfondare la corazza di cui questi ragazzi si ricoprono. Questa si impadronisce anche del loro cervello, impermeabile all’affetto e ai consigli.
Se non si è soddisfatti del proprio aspetto fisico o se si è infelici la risposta non è il non mangiare, ma mangiare sano e parlare, perchè tutto quello che non viene detto si tramuta nel mostro spaventoso che continua a nustrirsi delle debolezze e diventa cosi sempre più forte.

Giulia Perinelli

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