Là dove la lebbra uccide ancora: viaggio in uno degli ultimi lebbrosari

Là dove la lebbra uccide ancora: viaggio in uno degli ultimi lebbrosari
Roberto Pacilio/ Andrea Cova
Foto 1 di 21
Ingrandisci

La lebbra, una delle più temute malattie del passato, è spesso stata associata a miti e leggende anche di natura religiosa, come “punizione” per il modo di vivere impuro e peccaminoso; un tempo ritenuta non solo incurabile, ma anche estremamente pericolosa per gli altri – tanto da relegare chi ne era affetto ai margini della vita della comunità – oggi, grazie ai progressi compiuti in campo scientifico e alla maggiore informazione, si sa invece che la malattia di Hansen, altro nome con cui è conosciuta, è certamente una patologia infettiva e cronica, causata dal batterio Mycobacterium leprae, ma per tenerla sott’occhio sono state scoperte molte valide cure.

Eppure, i lebbrosari, ovvero i luoghi in cui i malati di lebbra erano spesso confinati, sono resistiti fino a qualche decennio fa, e ce n’è persino qualcuno tuttora attivo. Come il lebbrosario di Van Mon, poco distante da Thai Binh, nel nord del Vietnam, uno degli ultimi esistenti, che ospita più di 200 pazienti, quotidianamente seguiti dal personale medico e da alcuni frati francescani.
Proprio per far scoprire la realtà di questo posto dimenticato e la cui esistenza è ignorata dalle persone, i fotografi e giornalisti Roberto Pacilio e Andrea Cova hanno deciso di realizzare un reportage al suo interno, intitolato Il figlio primogenito della morte, in riferimento al passo della Bibbia, contenuto nel Libro di Giobbe, che recita: “Un malanno divorerà la sua pelle, il primogenito della morte roderà le sue membra”.

In effetti, ciò che emerge dagli scatti in bianco e nero, visibili anche sul sito ufficiale di Andrea Cova, sono dei volti deturpati, sfigurati dalla malattia, mutilazioni agli arti e pelli erose, raggrinzite, distrutte. Un luogo dove davvero sembra di precipitare nell’inferno, ma che è la quotidianità per chi ci vive e respira, ogni giorno, la sua aria.

Le immagini raccolte dai due fotoreporter sono davvero suggestive e impressionanti.