Oggi vi proponiamo un viaggio attraverso la moda del Novecento e l’evoluzione del settore tessile. Vi racconteremo la nascita del prêt-à-porter e degli abiti iconici che hanno accompagnato la storia delle donne e dell’emancipazione femminile.

Il “New Look” di Dior (1947): Spalle morbide, punto vita strizzato e gonne ampie un po’ a ruota. Questa era la donna Dior del primo dopoguerra. Il termine fu coniato dalla direttrice di Harper’s Bazaar che esclamò: “It’s such a new look!” per rimarcare la ventata di novità e di innovazione che questa collezione aveva portato nel mondo della moda. Il successo fu epico.

L’abito rosa shocking: Pochi sanno che l’inventrice del color rosa shocking è stata una stilista di nome Elsa Schiaparelli. Designer poliedrica e stravagante, eterna rivale di Coco Chanel, ebbe contatti con i surrealisti e apportò moltissime innovazioni alla moda dell’epoca, fu una vera pioniera nell’utilizzo di elementi sartoriali completamente nuovi come le chiusure lampo, le spalline imbottite e i colori estremamente vivaci e sgargianti: Tra questi l’emblematica tonalità di rosa che colorava la confezione del suo primo profumo “Shocking”. Da qui l’idea di impiegare questo colore per un abito dalla linea romantica. Un connubio iperfemminile.

Il tailleur Chanel: Verso la fine degli anni ’50, Coco Chanel voleva produrre capi comodi ma eleganti che rispecchiassero perfettamente la donna dell’epoca: libera, dinamica, disinvolta. Per questo creò la sua personalissima versione del tailleur: i tempi di guerra le offrivano solo il tessuto jersey, semplice ma dotato di una versatilità straordinaria, con cui creò una gonna al ginocchio e una giacca dalla linea essenziale con profili bordati di passamaneria a contrasto e impreziosita da bottoni dorati. Migliaia di donne di tutto il mondo indossarono il tailleur e lo fanno ancora oggi e la sua inconfondibile allure lo rende ancora oggi un capo senza tempo.

Il Little Black Dress: Meglio conosciuto con il nome di tubino nero. Come dimenticare quello longuette di Givenchy reso icona da una splendida Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany” del 1961? Il tubino nero è il passepartout di tutte le occasioni formali. Con un tubino non si sbaglia mai. E’ un semplice abito corto senza maniche la cui lunghezza può arrivare al ginocchio oppure alla caviglia. Nero, semplice, minimale ed eternamente chic, è un capo imprescindibile, assolutamente irrinunciabile nel guardaroba di ogni donna.

L’abito Mondrian: Quando arte e moda si fondono insieme in un abbraccio geometrico il risultato non può che essere l’abito Mondrian. Nel 1965 Yves Saint Laurent trasferì dalla tela alla stoffa la celeberrima “Composition in yellow, red and blue” del pittore olandese Piet Mondrian per creare un abito dalla linea dritta a contorni neri e blocchi colorati cuciti insieme. Fu una delle collezioni più fortunate della storia della moda.

L’abito “Rosso Valentino”: Come Elsa Schiaparelli, anche Valentino inventò un suo colore che divenne l’emblema della maison. Una particolare sfumatura di rosso molto acceso tra il porpora, il carminio e il rosso di cadmio. Valentino ebbe l’ispirazione durante una vacanza a Barcellona dove fu enormemente colpito dalle tonalità sgargianti di questo colore. Sono state centinaia le donne che hanno indossato questo capo di inconfondibile sensualità ed eleganza, da Jacqueline Kennedy a Sophia Loren, da Monica Vitti a Elizabeth Taylor. Ancora oggi è la punta di diamante della maison, che mette almeno un capo in questo colore in tutte le sue sfilate, quasi fosse una sorta di scaramanzia.

Il miniabito: Gli anni sessanta: ovvero la decade in cui gli orli delle gonne si accorciavano a ritmo vertiginoso. Nel 1965  la giovane stilista londinese Mary Quant inventò il miniabito e la più nota minigonna ispirata da un’altra Mini (la celebre automobile) e così facendo catalizzò l’attenzione dell’opinione pubblica. Impallidirono i benpensanti, i bigotti gridarono allo scandalo, ma poco importava; il ’68 era ormai vicino. Tirava aria di cambiamento, di piccole grandi rivoluzioni. E questa novità rivoluzionaria colorò le strade di una Londra grigia e cupa. Il successo non tardò dilagare su scala mondiale e conferì un nuovo stile e una nuova identità a a tutte le ragazze dell’epoca. Persino la Regina Elisabetta II si convinse ad accorciare leggermente l’orlo dei suoi abiti.

Il Wrap Dress: Ovvero l’abito “a portafoglio” creato da Diane Von Fürstemberg nel 1973. Simile ad una vestaglietta, è un abito in jeresey o in cotone da incrociare e annodare su un fianco e si presta magnificamente alle giornate di lavoro come ai look da sera. Si adatta perfettamente alle forme del corpo scivolando morbido sui fianchi e mette in evidenza il decolletè con una scollatura a V più o meno ampia. L’abbinamento perfetto è con un paio di stivali al ginocchio. Buona notizia: sta bene praticamente a tutte.

Il tubino senza spalline: All’inizio degli anni ’90, Calvin Klein lanciò un tubino privo di spalline dal taglio assolutamente minimal. Era l’inzio di un nuovo decennio. La sobrietà e il minimalismo di quest’abito sancivano la definitiva uscita dagli opulenti e kitchissmi anni ’80, divenne una vera e propria divisa anche per occasioni non del tutto formali come party e cocktail e non smette di esserlo ancora oggi.

L’abito a sirena: Diventato uno dei modelli preferiti per gli abiti da sposa, l’abito a sirena fu riportato a nuova vita nel 1997 dallo stilista inglese Julien MacDonald, che nello stesso anno lancò la sua collezione “Mermaid” che ebbe un grande successo anche con la stampa. Elegante e sinuoso, è l’abito da red carpet per antonomasia

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