La pianista Giulia Mazzoni: "La mia musica (poco) classica per sognatori" - INTERVISTA

A tu per tu con la pianista toscana che, al di là delle polemiche, sta facendo emozionare un pubblico sempre più vasto con la sua musica sospesa tra classica e influenze pop-rock.

Dici Giulia Mazzoni e, da una parte, ti trovi i 5 sold out in altrettanti importanti teatri della tournée in Cina della pianista toscana di quest’estate, dall’altra le critiche che i puristi della musica classica hanno mosso (e continuano a muovere) a questa giovane ragazza, che nel frattempo continua a ricevere grandi attestati di stima su altri fronti. Pubblico in primis.

Paragonata, suo malgrado (nel senso che poi alla fine uno vorrebbe essere “definito” per quello che è, non in relazione ad altri), a Giovanni Allevi, Giulia ha pubblicato, nel giugno 2013, il suo disco d’esordio, “Giocando con i bottoni” (Bollettino / Artist First): 14 composizioni che si muovono tra influenze pop-rock e musica classica. E, a ottobre dello stesso anno, è stata insignita del prestigioso Premio Ciampi per la categoria “Miglior cover”.

Che poi, forse, a ben vedere, la questione dipende anche dal punto di vista con cui la si vuole guardare. Perché un conto è ascoltare (e giudicare) la musica di Giulia Mazzoni così come si presenta e per come lei stessa la presenta, “una musica emozionale”, della cui “popolarizzazione” la stessa compositrice si dice felice. Un altro è se si vuole paragonare Giulia a Chopin, Mozart, Rubinstein e via dicendo. Ma Giulia per prima non sembra intenzionata a farlo.

È così che, fuori da ogni volontà di polemica, abbiamo incontrato Giulia Mazzoni, con il piacere di parlare con l’artista che sta riscuotendo il consenso di un pubblico molto trasversale e con la giovane donna che, diciamocelo, sta dimostrando di avere grande maturità nell’affrontare non tanto le critiche – quelle, anche se negative purché motivate, fanno bene -, quanto la solita fazione dei codardi del web che, nascosti dal monitor di un pc, non risparmiano insulti, anche pesanti. E quelli, sia chiaro, sono sempre un atto vile, che nulla ha a che fare con un’idea, un’opinione e il diritto a esprimerla.

L'”incontro” con Giulia Mazzoni avviene in realtà via Skype, perché lei è a New York, al lavoro sul nuovo disco.
Quello, cioè, che seguirà l’album “Giocando con i bottoni”, del quale ci siamo per prima cosa fatte spiegare questo curioso titolo.

“Giocando con i bottoni” è un titolo legato a un episodio della mia infanzia ben preciso.

Da piccola passavo ore intera seduta in una cesta di vimini, in cui rovesciavo dei bottoni colorati che mia nonna teneva in vecchie scatole di latta (una di queste è proprio quella fotografata nell’album). Mi piaceva la sensazione di quando mettevo la mano dentro la scatola, il suono che facevano i bottoni quando la scuotevo. Erano i miei tesori colorati e preziosi.

Ho chiamato l’album così perché la semplicità dei gesti e l’emozione per le piccole cose di quei giorni, la freschezza e lo stupore della bambina di allora, la continuo a ritrovare quando gioco con i tasti del pianoforte. Oggi sono loro i miei bottoni. Quel tocco che mi permette di non perdere la meraviglia di quello sguardo, cui basta un cielo stellato, un tramonto… un bottone colorato.

“Apri gli occhi”, “Giocando con i bottoni”, “Piccola luce”, “Il labirinto”, “Frammenti di vetro”, “Omino rosso”, “L’ultimo caffè”, “Where and when?”, “L’albero di Mondrian”, “Elefantino di pezza”, “La fabbrica delle illusioni”, “Nella rete della luna”, “Lia”, “La cavalcata delle nuvole”.
 Questi sono i titoli delle 14 tracce dell’album. È sempre curioso leggere i titoli delle composizioni: in fin dei conti sono le uniche parole in una composizione di sola musica, l’unica traccia verbale per una sorta di interpretazione. Si potrebbe dire che per chi ti ascolta i titoli possono essere un modo univoco per sapere di cosa stai parlando/ suonando)?
Le mie composizioni in genere partono da immagini per me evocative che, come in alcuni di questi casi, sono entrate di diritto nel titolo. In realtà però non credo si possano spiegare.

Credo fortemente che ognuno di noi, nella musica, possa “sentirci” quello che vuole, a seconda della sua sensibilità, del suo vissuto, del momento stesso dell’ascolto e del relativo stato d’animo.

Prendiamo “Apri gli occhi”, per me è una sorta di invito ad aprire gli occhi e il cuore alla vita e alla bellezza che ci circonda. Spesso siamo negativi e pessimisti e troppe volte sottovalutiamo la meraviglia che ci sta intorno. Per me è un grazie alla vita. Per te può essere altro. È un tuo diritto di fruitore della musica, in questo caso della mia musica, che lo sia.

Come stai lavorando al nuovo album? Sì, insomma, come nascono le tue canzoni?
Tutto quello che vivo, vedo, sento crea in me un’emozione che può darmi l’ispirazione per un nuovo pezzo. È come se scattassi tante fotografie delle mie esperienze quotidiane, anche delle più semplici: alcune resteranno solo tali, altre si sviluppano subito in musica, per altre ancora magari accadrà tra anni. Questo viaggio a New York è stato fatto proprio perché avevo bisogno di vedere cose nuove, paesaggi diversi, incontrare persone e parlare con loro, anche per strada, per caso. Anche solo un semaforo che lampeggia in un certo modo può scatenare in me un’associazione, una sensazione o un’emozione e tradursi in musica.
Detto questo, non ci sono ancora date per il mio nuovo album. Al momento solo lavori in corso.

Abbiamo letto varie definizioni della tua musica. Facciamo che noi ci asteniamo dall’aggiungerne una nostra e chiediamo a te come la definiresti. Fermo restando il limite insito in qualsiasi etichetta, chiaro.

L’aggettivo che trovo più adatto per la mia musica è “emozionale”. La mia è una musica emozionale.

Più che di musica classica in chiave moderna, parlerei di una musica contemporanea che ricerca la sua funzione primaria nell’emozionare e nel raccontare emozioni.

Giulia Mazzoni, Pianista
Giulia Mazzoni (Ph. Alessio Pizzicannella) – Fonte: Parole e Dintorni

E il tuo pubblico chi è?
È un pubblico molto vario, per età e per genere.

Il mio è un pubblico di sognatori: persone che attraverso la musica cercano un’esperienza che li porti a viaggiare, tra sogni, incubi, paure… emozioni.

Alcuni ascoltano la musica classica. Altri no. Non necessariamente.

Ti offende quando ti si dice di aver popolarizzato un genere. Intendo quello classico.
Non credo di aver popolarizzato nessun genere. Perché faccio una mia musica, come dicevo sopra. Mi rende invece felice, semmai, il fatto che questo mio modo di fare musica risulti popolare e arrivi al cuore di un pubblico ampio e molto variegato. Se poi la mia musica ha avvicinato un pubblico prima totalmente disinteressato anche alla musica classica, la cosa mi dà gioia.

Mi piace il fatto che la musica sia non solo un bene elitario, ma di tutti. Se volessi fare una musica elitaria la suonerei nella mia stanza o di fronte a un pubblico ristrettissimo. Per me invece la musica è condivisione.

Come è nata la tournée in Cina di questa estate e che esperienza è stata. 5 teatri per 5 sold out in una terra così lontana da noi, per cultura prima ancora che per distanza geografica, non sono uno scherzo.
Sarà banale, ma a volte bisogna affidarsi alla semplicità, anche nelle parole: è stata un’esperienza bellissima, indimenticabile. Sono arrivata a Pechino con la mia valigia fucsia… Ero terrorizzata. Dovevo affrontare teatri mitici.
Poi, ogni volta che arrivavo in un posto e iniziavo a suonare, la paura lasciava spazio alla gioia. Anche perché ho trovato un pubblico caloroso, curioso, fatto di persone disponibili all’ascolto, senza pregiudizi.

E com’è che sei andata in Cina?
“Giocando con i bottoni” era stato presentato live al Blue Note di Milano e all’Auditorium Parco della Musica di Roma. È qui che ho incontrato Luigi Melecchi, importante manager che ha già lavorato all’estero con grandi artisti internazionali, e che ha proposto al mio produttore Riccardo Vitanza questo tour. Sono così grata a entrambi che, confesso, parte del mio grande timore era anche quello di deluderli. Spero invece di averli fatti felici.

Parliamo delle collaborazioni. Quelle che hai già fatto e quelle che… sogni.
Per chi, come me, crede che la musica sia condivisione, le collaborazioni sono qualcosa di importantissimo, una grande occasione di formazione.
Lo è stato nella collaborazione con Ylenia Lucisano, per la quale ho suonato in uno dei brani del suo album “Piccolo Universo”, così come lo è tuttora con Chiara Buratti, che accompagno al pianoforte nello spettacolo scritto per lei da Giorgio Faletti, “L’ultimo giorno di sole”. Tra l’altro questo spettacolo per me è un po’ un segno del destino: tra le prossime tappe c’è una data sull’isola d’Elba, dove io passavo spesso le vacanze nella mia infanzia e dove ho più volte Giorgio Faletti, senza avere mai il coraggio di parlargli.

E poi, chiaro, ci sogno i sogni nel cassetto: una collaborazione con il Maestro Michael Nyman, per esempio, cui ho dedicato il brano “Where and When”. O, quasi non riesco a dirlo, una con il Maestro Ludovico Einaudi.
Persone che considero dei grandissimi esempi, ma cui mi lega anche una profonda amicizia; la stessa che mi impedisce di fare la cosa più semplice e naturale: chiedere. 
Proprio perché l’ultima cosa che vorrei è che loro dovessero anche solo nutrire il dubbio che il mio affetto sia dettato da interesse. 

Ti ricordi il primo incontro con il pianoforte?
Benissimo. Ero in quinta elementare, durante la ricreazione. Dal giardino in cui ero si sentiva chiaramente la musica di un pianoforte che proveniva dall’edificio. Ho seguito quel suono e sono rimasta incantata nell’ascoltarlo: sapevo, chiaramente, cos’era un piano, ma non avevo mai avuto un incontro così ravvicinato. Mi toccò nel profondo e cominciai ad andare in quell’aula a giocare con quei tasti più volte, durante la ricreazione. Fino a quando non ho chiesto ai miei genitori di poter prendere lezioni. E in questo ho avuto la fortuna di trovare due persone che mi hanno appoggiata.
Da quel momento in poi non sono più stata senza pianoforte. Anche quando vado in vacanza, faccio in modo di avere la possibilità di suonare.

Come già fatto con Giulia Ottonello, anche a Giulia Mazzoni abbiamo chiesto se essere donna nel mondo dello spettacolo è difficile? E, soprattutto, se bisogna scegliere tra carriera e vita privata.
Non ho risposte assolute. Posso dire com’è per me.

La musica non deve escludere la vita e la vita non deve escludere la musica. Quella che sono come artista lo sono anche in qualità di persona.

Un tempo, parlo della mia adolescenza, ho fatto molte rinunce per la musica, ma sono scelte che ho fatto io e che rifarei. Erano sacrifici, ma mi sarebbe costata più fatica non farli. Oggi ho trovato un equilibrio tra il mio lavoro e la mia vita privata: sarà che la musica pervade entrambe.

Del resto credo che un musicista non potrebbe scrivere se non vivesse: io devo vivere per poter scrivere.

Differenze tra uomo e donna? La musica è una strada difficile per entrambi. Ma è una strada che vale la pena percorrere.

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