– Perché non sorridi mai?
– Perché sorridere è una roba da ricchi.
– Tu sei convinto che io sia ricco? (…)
– È roba da ricchi nel senso che è roba da gente felice!
– È proprio qui che ti sbagli, è sorridere che ti rende felice!
– Figuriamoci.
– Prova, prova e vedrai 
dal film “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” di Francois Dupeyron

Addio Omar Sharif, addio a quegli occhi furenti di vita, addio al sorriso galante, addio al gentiluomo e al seduttore, addio all’uomo che si perse (e perse parte della sua fortuna) nel gioco e si ritrovò nell’arte del cinema.

È morto Omar Sharif, a stroncarlo è stato un infarto, dopo che l’Alzheimer – da poco annunciato dal figlio Tarek – ne aveva provato la mente brillante. Aveva 83 anni.
Sono stati 83 anni da farci un film, passati tra grandi passioni, per le donne e per il gioco, tra debiti, arte e personaggi che ne hanno disegnato, a loro volta, il personaggio.
Fu l’indimenticabile Dottor Zivago, che vinse il Golden Globe e mancò, per alcuni inspiegabilmente, l’Oscar. Fu lo Sceriffo Alì in Lawrence D’Arabia nel 1961, dove doveva essere il comprimario e fu il vero trionfatore. La nomination all’Oscar gli aprì le porte di Hollywood e di una carriera fatta di oltre 100 film.

Omar Sharif in Dottor Zivago
Fonte: Web

Michel Dimitri Shalhoub, questo il vero nome di Sharif, egiziano, nato ad Alessandria d’Egitto da genitori libanesi, arriva al cinema quasi per caso. A sceglierlo per il suo film, Lotta sul fiume, nel 1953, è il giovane regista Youssef Chahine. Al suo fianco recita la diva dell’epoca Faten Hamama che, due anni dopo, diventerà sua moglie. È per lei – per ottenere il consenso alle nozze da parte dei suoi genitori – che si converte all’Islam e prende il nome di Omar El Sharif.

È David Lean, scegliendolo per il cast del film Lawrence D’Arabia, a decretarne una prima ascesa. Non è un’impennata: il suo fascino esotico lo consegna all’inizio a film hollywoodiani trascurabili e, in Italia, a pellicole come Marco Polo e Gengis Khan. Ma Lean, suo pigmalione, gli riaprirà le porte del grande cinema vestendolo da Dottor Zivago (1965), adattamento per il cinema del grande romanzo di Pasternak. Per Sharif è il successo.
Perde la testa per Barbra Streisand, con cui canta in Funny Girl e ritrova in Funny Lady, recita per Francesco Rosi in C’era una volta e ne La notte dei generali di Anatole Litvak.

È attore e uomo di passioni, una tra tutte quella per il gioco, il bridge in particolare, di cui pubblica un manuale, dopo essere entrato nella lista dei “top players”. Del vizio – perché di questo a un certo punto si tratta – scriverà nella sua autobiografia:

Finisci a fare una vita in totale solitudine: alberghi, valigie, cene senza nessuno che ti metta in discussione. L’attrazione del tavolo verde per me diventò irresistibile. E ci ho sperperato delle fortune. A un certo momento ho capito e ho deciso di smettere anche con il bridge per non sentirmi prigioniero delle mie passioni. Facevo film per pagare debiti e alla fine mi sono stufato.

Omar Sharif
Fonte: Web

A fargli ritrovare la strada dell’arte e del cinema stavolta è François Dupeyron, che ne fa l’anziano e saggio commerciante sufi del film Monsieur Ibrahim e i fiori del corano. Omar Sharif commuove il pubblico ed emoziona, con il contrasto tra un’eleganza pacata e il guizzo dei suoi occhi, la giuria alla Mostra di Venezia del 2003 che gli attribuisce il Leone d’oro alla carriera.

Addio, Omar Sharif! Addio all’attore, al personaggio e all’uomo.

Ciò che dai è tuo per sempre, ciò che tieni solo per te è perduto per sempre.
dal film “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” di Francois Dupeyron

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