Nel maggio 2020 abbiamo ricevuto una bellissima notizia: il Sudan ha messo al bando le mutilazioni genitali femminili (MGF), fra cui l’infibulazione, considerandole finalmente reato. Grazie al nuovo provvedimento legislativo, chiunque pratichi mutilazioni genitali all’interno di un istituto medico o altrove rischia fino a tre anni di reclusione e una multa.

È sicuramente l’inizio di una nuova era per i diritti delle donne nella nazione africana, ma ovviamente la strada da percorrere è ancora molto lunga, perché ci sono tantissimi Paesi che praticano sempre l’infibulazione, e molte donne migranti cui viene praticata anche nella nazione presso cui trovano ospitalità.

Cos’è l’infibulazione e come si pratica

Non è certo l’unica tipologia di mutilazione genitale femminile (purtroppo) ma è probabilmente fra le più diffuse: chiamata anche circoncisione faraonica o sudanese, per via delle sue origini, l’infibulazione consiste nell’escissione, ovvero nel taglio, della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali, e subito dopo si passa alla cucitura della vulva.

Praticata soprattutto sulle bambine, e molto spesso sulle neonate, questa terribile mutilazione lascia alla donna solo un piccolo foro per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. Una delle motivazioni più diffuse alla base di questa orribile pratica sta nel ritenere che, durante il rapporto sessuale, la donna non debba provare piacere, e che le sue funzioni siano unicamente limitate alla procreazione.

All’orrore per la sofferenza cui queste bambine vengono sottoposte, che si può solo provare a immaginare, vengono ad aggiungersi anche la condizioni in cui questa “operazione” è eseguita, che molto spesso non rispettano minimamente le più basilari norme igieniche, non prevedono anestesia e sono portate avanti con strumenti rudimentali.

L’infibulazione è chiaramente in contrasto con il principio fondamentale di non-discriminazione sancito nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw) e nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (Crc) e, nonostante alcuni Paesi stiano finalmente decidendo di mettere al bando questa barbarie, i numeri sono ancora impressionanti.

I numeri delle mutilazioni genitali femminili

Secondo le stime ancora oggi circa 200 milioni di ragazze e donne in tutto il mondo hanno subito una mutilazione genitale, e sono almeno 27 Paesi africani e alcuni dell’Asia e del Medio Oriente a praticare ancora infibulazione e altre mutilazioni.

Proprio nel Sudan, prima della storica decisione, erano nove su dieci le donne sottoposte a una MGF; il 77% di loro ha subito un’infibulazione, il 16% un’escissione totale, mentre non si hanno dati certi sul tipo di mutilazione subita dal restante.

Ci sono 3 milioni di nuovi casi ogni anno, e ben il 91,5% di bambine vittime delle mutilazioni nella sola Africa.

Dove e perché si pratica l’infibulazione

Se pensate che alla base delle mutilazioni genitali femminili ci siano motivi di ordine religioso, e che siano tipiche dell’Islam, vi sbagliate: l’infibulazione ha origine addirittura dall’antico Egitto, motivo per cui è chiamata anche circoncisione faraonica, e tutt’oggi, nonostante nel Paese sia vietata, si ritiene che fra l’85 e e il 95% delle donne l’abbia subita.

L’infibulazione è largamente diffusa nell’Africa subsahariana, e in Paesi a predominanza islamica dell’Asia come Iran, Iraq, Yemen, Oman, Arabia Saudita o Israele. Nonostante non se ne faccia menzione nel Corano, dell’infibulazione si parla in diversi Hadith [i racconti sulla vita di Maometto, ndr.] e, fra le cause di divorzio, la giurisprudenza coranica ammette anche taluni difetti fisici della sposa, come appunto una circoncisione mal riuscita.

La Nigeria l’ha ufficialmente vietata nel giugno 2015, mentre in Somalia, per fare un esempio, una donna non infibulata viene considerata impura e rischia, se non trova marito, di essere ostracizzata dalla società.

Ma c’è qualcosa che lega anche il Cristianesimo alle mutilazioni (che in generale, anche se auto inflitte, sono considerate un peccato contro la santità del corpo e pertanto proibite): essendo l’infibulazione legata a culture o culti precedenti o successive alla cristianizzazione, la pratica si è conservata presso i  copti (ortodossi e cattolici) del Corno d’Africa, in Eritrea e in Etiopia. Per fare un esempio, in Niger il 55% delle donne e delle ragazze cristiane è infibulata, contro il 2% delle musulmane.

Per ciò che concerne i motivi che spingono a mutilare le donne, sono di ordini diversi: ad esempio, socio- culturali. L’infibulazione è la pratica che definisce l’identità culturale del gruppo etnico di cui si fa parte, e grazie a essere le giovani donne possono essere integrate nella società.

Vi sono poi ragioni psicologiche e sessuali, nelle comunità in cui la verginità è considerata elemento imprescindibile per una donna; la pratica, come detto, rappresenta anche un modo per soffocare il desiderio sessuale che deriva dalla stimolazione del clitoride, e consente perciò di “controllare” la libido femminile.

Motivi religiosi o spirituali, per cui grazie all’infibulazione le donne si manterrebbero spiritualmente pure; igienici, legati al ritenere le donne non infibulate impure e, quindi, non idonee a gestire cibo e acqua. Secondo questa prospettiva i genitali femminili sono sporchi e sgradevoli, e rimuoverne una parte li renderebbe invece più piacevoli alla vista.

Infine, non possiamo dimenticare i fattori di genere: l’infibulazione è spesso la chiave per essere considerate “donne complete”, e ovviamente serve anche a far capire, da subito, il genere di subordinazione cui la donna è sottoposta nella sua vita.

L’infibulazione in Italia

Nel nostro Paese la legge 9 gennaio 2006, n. 7 tutela le donne dalle pratiche di mutilazione genitale femminile, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne.

Inoltre, l’articolo 583-bis aggiunto al Codice Penale punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chi, senza esigenze terapeutiche, provoca una mutilazione di qualunque genere degli organi genitali femminili, sia esso un italiano all’estero o uno straniero presente in territorio italiano.

Ciononostante, in Italia sarebbero circa 80 mila le donne mutilate, mentre 5 mila bambine sarebbero a rischio infibulazione, come spiega il professor Aldo Morrone.

Infibulazione: 7 testimonianze

Sono davvero molte le storie raccontate da donne che nella loro vita hanno subito l’infibulazione. Fra loro c’è Ayaan Hirsi Ali, che sulla sua mutilazione ha scritto un libro diventato molto famoso.

Ma le testimonianze, purtroppo, sono davvero tante, e leggerle può dare solo una piccola idea dell’orrore che milioni di bambine in tutto il mondo subiscono tuttora. Sfogliate la gallery per scoprirne alcune.

Infibulazione, il grido di dolore delle bambine "cucite"
Fonte: web
Foto 1 di 8
Ingrandisci