Dopo le recenti polemiche scatenate dal bambino di Padova portato via forzatamente dalla Polizia, nella capitale si consuma un altro dramma: un ragazzino di dieci anni è stato trovato impiccato, nel bagno della casa dei nonni, dove trascorreva i pomeriggi mentre i genitori lavoravano. Era rincasato da scuola da qualche ora. Non si comprendono le ragioni del gesto. Forse aveva litigato con i compagni, forse aveva subito degli atti di bullismo. Forse voleva emulare qualche gesto visto alla TV. Ma quello che salta di più all’occhio è che questo ragazzino è figlio di genitori separati. Anche se in questo caso i genitori avevano scelto la separazione consensuale e non ci sono stati litigi, conflitti o particolari traumi che possano in qualche maniera aver turbato il piccolo. Almeno apparentemente.

Gli investigatori sospettano un gesto volontario. I nonni e i genitori assicurano di non aver notato niente di insolito. Un ragazzino tranquillo, che frequentava la prima media con voti discreti. Di certo trovare il proprio nipote in bagno con una sciarpa attorno al collo che penzola nel vuoto non è una scena che si dimentica facilmente, lascia uno sgomento infinito, che ti attorciglia da dentro e non lascia pace. Per non aver visto. Per non aver potuto fare niente. Un disagio talmente grande da potersi alleviare solo con un suicidio è quasi certamente riconducibile al terrore e allo sgomento di vedere i propri genitori separarsi, le proprie certezze crollare, il proprio mondo svanire. La madre dice che il figlio non aveva mai accettato veramente la separazione e lo definisce “troppo sensibile”. Una sensibilità normale per un ragazzino che vede la fine della propria famiglia. Non è un’età dove si può pretendere di riprendersi, di farsi forza. E il disagio che una piccola mente concepisce, sconvolta nello sconvolgimento del proprio piccolo mondo, è infinitamente peggiore e devastante di quello di un adulto.

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