Alcune donne cambiarono la storia in tempi insospettabili, quando il genere femminile era relegato a poco più di una suppellettile domestica e l’ambizione maggiore con cui la maggior parte dei genitori cresceva le figlie femmine era quella di farle diventare moglie devote con una buona dote da portare il giorno del matrimonio, e madri amorevoli pronte a sacrificarsi per la famiglia.

Ciascuna nel proprio settore, dalla letteratura alla scienza, queste donne, figlie di una volontà ribelle spesso assolutamente scandalosa per l’epoca, riuscirono a emergere e a trasformare le proprie passioni in vita.

È il caso, ad esempio, di Marie Curie, nata Maria Skłodowska, che nella natia Polonia russa non poteva, in quanto donna, accedere agli studi superiori. Trasferitasi a Parigi nel 1891, frequentò la Sorbona, laureandosi in fisica e matematica, e fin dal dicembre del 1897 iniziò a compiere degli studi sulle sostanze radioattive, materia che la appassionò al punto da diventare una vera e propria ragione di vita.

Nel 1894 entra in scena, nella vita di Marie, il fisico e matematico Pierre Curie, che al tempo del loro incontro, trentacinquenne, lavora come istruttore di laboratorio alla Scuola di fisica e chimica industriale e studia i fenomeni della piezoelettricità, ovvero la produzione di cariche elettriche in seguito alla compressione o alla dilatazione dei cristalli privi di un centro di simmetria

Dopo il matrimonio, un anno più tardi, Marie, donna emancipata e con le idee ben chiare, si dimostra poco propensa a relegarsi al ruolo di angelo del focolare, e affianca il marito negli studi, dedicandosi all’isolamento e alla concentrazione del radio e del polonio, presenti in piccolissime quantità nella pechblenda proveniente da Jáchymov, un minerale radioattivo nonché tra le principali fonti naturali di uranio; i coniugi Curie scoprirono che alcuni campioni erano più radioattivi di quanto lo sarebbero stati se fossero stati costituiti di uranio puro, e da ciò dedussero che nella pechblenda fossero presenti altri elementi. Riuscirono a isolare una piccola quantità del nuovo elemento, dalle caratteristiche simili al tellurio e 330 volte più radioattivo dell’uranio, chiamato polonio proprio in onore del paese natio della scienziata. Il resoconto di questa ricerca, insieme a quello successivo che portò alla scoperta del radio, divenne la tesi di dottorato di Marie Curie.

Poco dopo la scoperta del polonio, infatti, i coniugi Curie capirono che nella pechblenda era presente, pur se in quantità infinitesimale, un altro elemento, il radio: Marie lavorò a lungo e alacremente nel suo laboratorio per estrarlo ed esaminarlo, attraverso il metodo della cristallizzazione frazionata che ha ideato e messo a punto.
Questa nuova scoperta diventa l’argomento principale dei salotti parigini, mentre l’Accademia delle scienze apre ai Curie un credito di 20.000 franchi per “l’estrazione delle materie radioattive”, da cui nasceranno una terapeutica, un’industria e una leggenda, quella secondo cui il radio guarisce tutto – mito ampiamente smentito.

Nella vita di Marie, però, non ci fu soltanto la gioia di aver avuto l’opportunità di seguire le proprie aspirazioni, di essere la prima donna ammessa all’insegnamento alla Sorbona, nel 1906, ma anche un grandissimo dolore: il 19 aprile 1906, infatti, mentre lei si trova in campagna con le figlie, Pierre, a Parigi, viene travolto da una carrozza mentre sta percorrendo a piedi rue Dauphine per raggiungere l’Accademia, e muore.

Ci fu spazio anche per uno scandalo sentimentale, nella sua esistenza avventurosa, dato che la “vedova illustre”, come venne soprannominata Curie dopo la morte del marito, iniziò nel 1911, durante il primo congresso Solvey, una relazione con il collega scienziato Paul Langevin, padre di quattro figli e sposato. Mentre il matrimonio del collega e amante andò in frantumi proprio a causa del legame, l’Accademia svedese che stava per assegnare a Marie il secondo Nobel della sua carriera ebbe dei ripensamenti, fino a decidere di darle il prestigioso riconoscimento chiedendole però di non presenziare alla cerimonia di consegna.

Marie, caparbia come sempre, non accettò il “consiglio” e si presentò comunque.

Fu la prima persona, non solo la prima donna, a vincere, seppur in condivisione, due premi Nobel: nel 1903 con il marito Pierre ed Antoine Henri Becquerel, per la fisica (prima donna nella storia), per lo studio sulle radiazioni, mentre nel 1911 le fu assegnato quello per la chimica, per la scoperta del radio e del polonio. In occasione del primo Nobel disse:

Si può ritenere che, in mani criminali, il radio possa diventare molto pericoloso; ci si può chiedere se l’umanità saprà trarre vantaggi dalla conoscenza dei segreti della Natura, se è matura per approfittarne o se questa conoscenza potrà invece essere nociva. L’esempio della scoperta di Nobel è significativo: i potenti esplosivi hanno permesso all’uomo di fare opere ammirevoli, ma sono stati anche usati come mezzo terribile di distruzione dai grandi criminali che trascinano i popoli verso la guerra. Sono uno di quelli che pensano, come Nobel, che l’umanità saprà trarre più benefici che danni dalle nuove scoperte.

Le radiazioni che fecero la sua fortuna segnarono però anche il suo destino: a causa della radioattività, alla quale era stata esposta costantemente, infatti, Marie si ammalò e morì nel 1934, colpita da una grave forma di anemia plastica, nel sanatorio di Sancellemoz di Passy, in Alta Savoia. Ancora oggi, tutti i suoi appunti di laboratorio successivi al 1890, persino i suoi ricettari di cucina, sono considerati pericolosi proprio a causa del loro contatto con sostanze radioattive, e sono conservati in apposite scatole piombate.

La figlia maggiore, Irène Joliot-Curie, vinse anch’ella un premio Nobel per la chimica assieme al marito Frédéric Joliot nel 1935, l’anno successivo alla morte della madre, mentre la secondogenita, Ève Denise Curie, scrittrice, fu consigliere speciale del Segretariato delle Nazioni Unite e ambasciatrice dell’UNICEF in Grecia.

Il suo pensiero di donna rivoluzionaria per l’epoca, sotto ogni punto di vista, è ben racchiuso in questo suo celebre aforisma

Della vita non bisogna temere nulla. Bisogna solo capire.

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