L’IDEOLOGIA SOCIALISTA –
 Christa Ihlenfeld nasce nel 1929 nell’est della Germania, a Landsberg an der Warthe, una cittadina che oggigiorno appartiene alla Polonia. Riceve un’educazione nazista come tutti i bambini tedeschi dell’epoca, ma con la fortuna di avere alle spalle una famiglia dalla mentalità aperta e di idee progressiste.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Christa comprende di aver vissuto la sua vita credendo a qualcosa che aveva portato solo morte e distruzione. Viene a conoscenza dei campi di concentramento, dello sterminio degli ebrei e come ogni giovane tedesco dell’epoca, comincia a nutrire un odio profondo per gli ideali in cui avevano creduto i suoi genitori e la società tedesca fino a quel momento.

Christa Wolf (negli anni dell’Università sposa lo scrittore Gerhard Wolf acquisendo il suo cognome) diventa donna nella neonataDeutsche Demokratische Republik, la Repubblica Democratica Tedesca, comunemente chiamata Germania Est.

Si tratta di uno stato dittatoriale di stampo socialista. Dopo 12 anni di nazionalsocialismo la gente accoglie con entusiasmo la dottrina socialista ed anti-fascista, senza rendersi conto però che avevano sostituito semplicemente un’ideologia con un’altra. Christa Wolf diventa una vera e propria guerriera dedita al socialismo, un’irriducibile sostenitrice della politica della DDR, un’intellettuale di stampo sovietico che addirittura sosteneva di essere d’accordo con la censura dei letterati avversi al partito socialista dell’Est, la SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands). Viene soprannominata la “poetessa di Stato”, tanto i suoi scritti erano allineati all’ideologia predominante. Ma negli anni Cinquanta avviene un incontro che le cambierà la vita per sempre. Un’ombra inquietante che getta scompiglio nella sua esistenza di moglie devota e madre affettuosa di due bambine.

I SERVIZI SEGRETI – servizi segreti tedeschi non erano poi tanto segreti. Agivano di nascosto per cercare i “nemici della nazione e del popolo”, ma facevano capo ad un’istituzione ben nota a tutti quanti, il Minister für Staatssicherheit, il Ministero per la Sicurezza di Stato, conosciuto con l’acronimo Stasi. Quest’istituzione si avvaleva di collaboratori informali, che per dedizione al partito o per costrizione, avevano il compito di spiare le persone. Per 5 anni, dal 1954 al 1959 Christa Wolf ha avuto alle calcagna degli agenti segreti che avevano il compito di valutare se la “compagna” Wolf sarebbe stata in grado di essere una collaboratrice segreta in grado di denunciare alla Stasi i suoi colleghi di partito non allineati. Dopo questa fase di studio, nel 1959 comincia la sua collaborazione per la Stasi. In realtà sono avvenuti pochi incontri (per l’esattezza tre) tra lei e i funzionari dello Stato, durante i quali lei non ha mai denunciato nessuno dei suoi colleghi.

Per la Wolf quest’incontri erano di natura intellettuale, servivano piuttosto a lei per esercitare la critica sulle mosse del partito. Per spezzare una lancia a favore della scrittrice si può affermare che negli anni ’50 la Stasi ancora non aveva assunto una posizione repressiva nella DDR. La Stasi decide però che la collaborazione con la Wolf non è redditizia ai loro scopi. Volevano mettere in carcere dei nemici dello Stato e invece la Wolf si limitava ad offrire loro un the e a discorrere di letteratura. Non andava bene. Così come accadeva spesso, i collaboratori informali diventavano a loro volta soggetti da controllare e da spiare. Inizia negli anni ’60 il calvario della famiglia Wolf. 

CHE COSA RESTA – Negli anni ’60 per Christa Wolf ha inizio la sua fase da lei stessa chiamata Ernüchterung, il disincanto. L’artista si rende conto che la Germania dell’Est ha molte pecche, che forse si era immersa fino al collo in un’ideologia che poi tanto differente dal nazismo non era. Però non lascia la DDR. Per lei l’Occidente è il Vietnam, il Cile, il Sudafrica. Era convinta che con un po’ d’impegno la situazione potesse ancora migliorare e poter dunque raggiungere il paradiso in terra che i socialisti tanto decantavano. Sono gli anni di romanzi più consapevoli rispetto al passato, come ad esempio “Riflessioni su Christa T.“,  “Trama d’infanzia” e “Il cielo diviso“, opere con le quali ha dimostrato di capire bene il disagio della società. Nel frattempo la Stasi la sorvegliava, notte e giorno, senza nemmeno curarsi del fatto che lei se ne fosse accorta. In “Che cosa resta” (titolo originale Was bleibt), un romanzo scritto nel 1979 (anno che coincide col suo distacco dalla politica), rielaborato nel 1989 e infine pubblicato nel 1990, la Wolf usando il monologo, racconta la sue giornate-tipo da spiata. Dei discorsi telefonici criptati, della macchina parcheggiata di fronte la sua finestra, degli individui che la seguono fin dentro il supermercato, della posta visibilmente aperta, dei segni di effrazione della serratura. Ma nonostante tutto ciò, la Wolf crede ancora nel socialismo.

“Un giorno, pensai, riuscirò a parlare, con totale facilità e libertà. È ancora presto, ma non sempre è troppo presto. Che cosa resta. Che cosa c’è al fondo della mia città e che cosa la manda a fondo. Che non c’è maggior sventura del non vivere. E che alla fine non c’è disperazione maggiore del non aver vissuto”.

Leggendario è il suo discorso tenutosi il 4 novembre 1989 (5 giorni prima della caduta del famigerato Muro) a Berlino ad Alexanderplatz, in cui esprimeva la sua speranza per un rinnovamento del socialismo che però doveva andare di pari passo ad un cambiamento generale delle condizioni di vita del popolo. Un discorso così accorato e tanto acclamato dal pubblico che nessuno si era reso conto che stava avendo un infarto. Trasportata di corsa in ospedale, viene dimessa pochi giorni dopo con un mondo diverso da come lei lo conosceva. Le Germanie erano unite e lei questo non lo ha accettato di buon grado.

 Nel 1992 Christa Wolf si reca col marito agli archivi della Stasi. I fascicoli che non sono andati distrutti sono infatti tuttora consultabili. Si accorge dunque di essere stata non soltanto spiata dalla Stasi, ma di essere stata lei stessa una collaboratrice dei servizi segreti. Un periodo della sua vita che la Wolf aveva completamente rimosso. Buio. Tabula rasa. Viene così accusata da tutti gli intellettuali e dalla società civile di aver scritto “Che cosa resta” soltanto per infilarsi ad arte nelle fila dei perseguitati politici. Viene additata di ipocrisia e la sua carriera prende una piega inaspettata.

Nei primi anni ’90 Christa Wolf era in lizza per il Nobel per la letteratura, premio che dopo quello scivolone non riuscirà mai più a conquistare. La Wolf sembra sincera quando racconta di non ricordare quei tre anni della sua vita, in fondo aveva avuto soltanto tre incontri con i funzionari della Stasi nei quali lei si dilettava a discorrere di letteratura ed esercitava la sua critica nei confronti della SED. In fondo negli archivi si trovano soltanto 116 fogli del suo periodo da collaboratrice e ben 41 fascicoli in cui lei era l’oggetto dello spionaggio. Le vengono ritirati premi già assegnati e la sua carriera sembra alla fine.

Ma il 27 febbraio del 1994 Christa Wolf tiene un discorso ad Alexanderplatz nel quale lei, caduta dal piedistallo di regina dei poeti della Germania dell’Est assumeva il ruolo di una Giovanna d’Arco di un est umiliato, capace in pari misura di fiducia e di critica verso sé stessa. Diventa il punto di riferimento per un dibattito storico e sociologico sulla Germania post-riunificazione.

Nel 1996 esce “Medea“, un nuovo grande successo che riporta la Wolf agli splendori dei tempi passati. È tuttora impegnata nell’attività politica: si batte per la giustizia sociale, firmaappelli e petizioni, protesta contro il nucleare e si schiera contro ogni guerra. Christa Wolf rappresenta la vera essenza della storia della Germania, una storia triste, sanguinaria e turbolenta, una storia che la Wolf ha vissuto sulla sua pelle ogni giorno della sua vita.

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