Giovane medico precario in Italia, diventa il num. 1 in Inghilterra: "Io a casa non ci torno!"

Un caso purtroppo non raro: un medico eccellente fuggito dall'Italia per colpa della precarietà, è uno dei migliori medici in Inghilterra, con progetti che interessano anche i media internazionali.

 Cervelli in fuga. Un fenomeno che non vede la parola fine in Italia. In questi giorni la Bbc manderà in onda uno speciale dedicato ad un cardiochirurgo davvero eccellente, soprattutto nel settore pediatrico, raccontandone tutti i progetti e le nuove scoperte. Poi al giovane medico sarà dedicato un documentario di circa un’ora.

La vera notizia è che questo medico ha 36 anni, è originario di Olmo di Martellago e ha studiato tra Mestre e Padova.  

Precario in Italia, ha deciso di tentar fortuna in Inghilterra, dove di strada ne ha fatta davvero tanta. Simone Speggiorin è il più giovane cardiochirurgo “Strutturato”, un ruolo equivalente a quello di un primario in Italia, di tutta l’Inghilterra.

Ma ad affascinare i media britannici è anche e soprattutto un progetto che lo vede in prima linea con un’associazione che si occupa di curare i bambini indiani colpiti da problemi cardiaci.

Il settimanale Leggo.it ha dedicato una bella intervista al giovane medico che vi riportiamo integralmente.

Dottor Speggiorin, come nasce l’opportunità di lasciare l’ambiente padovano e volare oltremanica?
«Nel 2003 mi sono laureato in Medicina a Padova, nel 2009 ho completato la specializzazione in cardiochirurgia imparando moltissimo dal professor Giovanni Stellin, il mio primo mentore. Ma il mio sogno era quello di lavorare con i bambini, mi affascinava l’idea di curare i piccoli con malformazioni cardiache. E sapevo che prima o poi avrei dovuto andare all’estero per completare il mio percorso formativo».
In Italia non sarebbe stato possibile?
«Non volevo ristagnare come precario in un sistema molto ma molto indietro, il problema è generale e non basterebbe certo solo una riforma della sanità. È per questo che ho deciso di mettermi in gioco all’estero. Dopo la specializzazione in Italia ottieni un diploma e sei legalmente abilitato a fare il cardiochirurgo, ma non è facile essere già formato e pronto per svolgere la professione».

Quindi, che è successo?
«Tramite Giovanni Stellin, a cui devo moltissimo, ho conosciuto il professor Martin Elliott del Great Ormond Street Hospital di Londra, uno degli ospedali pediatrici più importanti d’Europa. Con lui ho scritto un articolo scientifico, evidentemente gli è piaciuto il mio modo di lavorare. E mi ha chiesto di seguirlo a Londra».
Un’occasione che lei ha deciso di prendere al volo, giusto?
«Si, sono stato li per tre anni sub-specializzandomi in chirurgia tracheale e cardiochirurgica pediatrica. Poi è spuntata una nuova opportunità, un altro aereo da prendere al volo».
Ed è finito per un anno in India Bengalore, come mai?
«In quell’area geografica la popolazione è vastissima e ci sono molti bambini, la quantità di malformazione al cuore è purtroppo molto elevata e quindi sapevo che li c’era bisogno di lavoro. I dottori indiani sono molto bravi ma come numero non bastano. L’India era il posto ideale per completare il mio training formativo».

Che esperienza è stata?
«Bella, bellissima. Uno choc culturale, certo, ma mi è servita molto per testare davvero quello che potevo valere».

Dopo un anno si è presentata l’occasione di partire di nuovo, è stata una scelta difficile?
«Mi hanno offerto due posti, a Leicester in Inghilterra e a Sidney in Australia. Ho scelto la prima per rimanere in Europa, per riavvicinarmi agli amici e alla famiglia».

E proprio a Leicester, nel cuore del Regno Unito, lavora tutt’ora. Di cosa si occupa?
«Al Glenfield Hospital sono stato assunto come cardiochirurgo pediatrico. Ma faccio pure parte di una charity con un gruppo di dottori da tutto il mondo che vanno in India ad operare bambini».

Come si struttura questo progetto?
«La charity è nata proprio a Leicester, tre o quattro volte all’anno andiamo in India a curare questi bambini che altrimenti morirebbero. Spesso appartengono a famiglie che vivono in grandi condizioni di povertà e non si possono permettere alcuna spesa. Così il costo delle cure viene suddiviso tra l’ospedale indiano e la nostra charity, denominata “Healing Little Hearts”».

Quali sono le più grandi differenze tra il sistema sanitario italiano e quello inglese?
«Quello britannico è organizzato in maniera maniacale ed è più meritocratico, se sei bravo è più facile che vai avanti».

E dell’Italia cosa le manca?
«La famiglia e la colazione con brioche e cappuccino, stop. La maggior parte dei miei vecchi amici è già all’estero».

Tornerebbe?
«No, non avrebbe senso. Pensi: tre anni fa feci domanda per un concorso in Italia, mi hanno risposto la settimana scorsa. Assurdo. Ora sono in una curva ascendente, tornare significherebbe rimettersi in coda. Per fortuna il mondo è grande e pieno di opportunità».

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