Le calcificazioni al seno sono alterazioni indice di una patologia benigna o maligna. Per questo è bene ribadire il ruolo fondamentale che ha la prevenzione, affinché si possa agire tempestivamente in caso di lesioni sospette, magari con ulteriori accertamenti o una biopsia per la definizione istologica, se necessario. Non si può sottovalutare, infatti, che le microcalcificazioni possono essere un segnale d’allarme pre-tumorale e la loro asportazione in uno stadio iniziale impedisce lo sviluppo di un tumore di entità più grave.

La mammografia è un esame importante, soprattutto se abbinato all’ecografia. Nello specifico, anche se quest’ultima non è in grado di identificare le microcalcificazioni (visibili unicamente con la mammografia) è uno strumento comunque utile per rilevare altre piccole lesioni o formazioni nodulari. Per questo motivo, i due esami sono considerati complementari.

Come ha affermato Paolo Veronesi, professore di Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Milano, direttore della divisione di Senologia chirurgica dell’Istituto Europeo di Oncologia e presidente della celebre Fondazione da anni in prima fila per la prevenzione, la divulgazione scientifica e la ricerca:

I controlli periodici individuali devono iniziare già a 30-35 anni con un’ecografia mammaria annuale e dai quarant’anni anche con una mammografia annuale, l’unico esame in grado di identificare per esempio le micro-calcificazioni che sono spesso una spia di una iniziale lesione tumorale. L’età dai trenta ai cinquant’anni è la più delicata dal punto di vista diagnostico.

Calcificazioni al seno: cosa sono?

Le calcificazioni al seno sono dovute al deposito di sali di calcio nel tessuto mammario. Nella maggior parte dei casi non sono pericolose, ma in altri possono essere un primo segnale di patologie più complesse. Vengono descritte e differenziate dal radiologo e dal senologo sulla base di tre criteri, utili per avere informazioni sulla loro natura maligna o benigna:

  • morfologia: forma, margini, contorni e dimensioni;
  • numero;
  • localizzazione, distribuzione e densità nella ghiandola mammaria;
  • rapporto coi tessuti circostanti.

Calcificazioni al seno: i sintomi

Il più delle volte, soprattutto quando sono di ridotte dimensioni, le calcificazioni al seno non danno fastidio, non generano dolore né sintomi di alcun genere. Risultano anche impalpabili, dunque impossibili da avvertire col tatto, a differenza dei noduli. Sono però facilmente rilevabili attraverso la mammografia, sia quella patologica che quella normale, per via del loro marcato contrasto ai raggi X.

Calcificazioni al seno: le tipologie

Distinguere tra calcificazioni benigne e maligne è il primo passo per procedere poi con i trattamenti successivi, per questo effettuare mammografie periodiche è molto importante.

Come ha affermato Paolo Veronesi, professore di Chirurgia Generale presso l’Università degli Studi di Milano, direttore della divisione di Senologia chirurgica dell’Istituto Europeo di Oncologia e presidente della celebre Fondazione da anni in prima fila per la prevenzione, la divulgazione scientifica e la ricerca:

I controlli periodici individuali devono iniziare già a 30-35 anni con un’ecografia mammaria annuale e dai 40 anni anche con una mammografia annuale, l’unico esame in grado di identificare le micro-calcificazioni che sono spesso una spia di una iniziale lesione tumorale. L’età dai 30 ai 50 anni è la più delicata dal punto di vista diagnostico.

Calcificazioni benigne

Le calcificazioni al seno benigne possono essere un risultato dell’invecchiamento, legate al deposito di grasso e di sali di calcio nel tessuto mammario. Solitamente sono quelle di dimensioni maggiori, hanno forma tondeggiante e sono sparse piuttosto che localizzate e concentrate.

Calcificazioni maligne

Calcificazioni al seno di questo tipo possono indicare la presenza di una precancerosi o di un carcinoma mammario. In presenza di un tumore, la lesione ha in genere una grandezza che oscilla tra 0,1 mm e 0,5 mm. Le calcificazioni maligne sono più piccole e dalla forma irregolare (cosiddette “a limatura di ferro”); sono maggiormente associate ai processi neoplastici. Noduli tondeggianti con contorni irregolari e margini sfumati combinati a microcalcificazioni, sono invece elementi riconducibili al quadro patologico di un carcinoma mammario.

Calcificazioni al seno: come trattarle, rischi e conseguenze

Se in seguito a una mammografia emerge la presenza di calcificazioni, è bene proseguire con ulteriori accertamenti, soprattutto in caso di lesioni visibilmente sospette. In questo caso, infatti, si procede con la biopsia mammaria, per definirne inequivocabilmente la natura. La biopsia può essere di due tipi: quella con ago viene effettuata in anestesia locale, quella chirurgica si esegue quando la precedente risulta poco chiara o insufficiente e consiste nella rimozione di un tessuto maggiore contenente le calcificazioni sospette.

In caso di presenza di cellule tumorali, nel tessuto prelevato, il medico può predisporre l’intervento chirurgico. Quest’ultimo è nella maggior parte conservativo: la cosiddetta quadrantectomia). Purtroppo però, in casi più gravi, l’unica strada è l’asportazione totale della ghiandola mammaria, accompagnata dalla ricostruzione immediata. L’intervento è seguito da radioterapia o chemioterapia, per debellare tutte le cellule tumorali rimanenti.

Le calcificazioni al seno benigne e non cancerose, invece, non richiedono ulteriori approfondimenti, anche se è preferibile tenerle sotto controllo con accertamenti periodici, per monitorarne un eventuale sviluppo o modifiche a carico del tessuto. Si procede in genere con un iniziale monitoraggio ogni sei mesi per almeno un anno, poi dopo un anno di follow-up in assenza di cambiamenti rilevanti, si passa a una mammografia di routine una volta all’anno.

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