Perché alcune persone sono sempre in ritardo (senza essere maleducate)

Non è per maleducazione o mancanza di rispetto, le persone possono arrivare in ritardo agli appuntamenti per paura, per ansia, e per altri motivi spiegati dagli psicologi. Inutile, quindi, per i puntali, abbandonarsi alla rabbia e alla frustrazione, i metodi per aiutare i ritardatari cronici sono ben altri.

Il mondo si divide in due categorie di persone: quelli che aspettano… E quelli che si fanno aspettare.

Se non rientrate nella seconda categoria, allora molto probabilmente la vostra vita scorre nella perenne attesa di un fidanzato, di un’amica, o di qualche collega di lavoro che non rispetta i tempi di consegna di un progetto. E con tutta probabilità sopportate a malapena i loro costanti ritardi, dato che ovviamente i puntuali per natura faticano a mandar giù la nonchalance con cui gli altri si presentano molti minuti (se si è fortunati, altrimenti si parla di ore!) dopo l’orario stabilito.

Quello che fa arrabbiare il puntuale è la percezione del disinteresse del ritardatario, dato che solitamente l’essere in ritardo viene interpretato come sinonimo di mancanza di rispetto, di serietà, di impegno. Peccato però che questo non sia – sempre – vero, e che il ritardo cronico sia addirittura diventato un vero e proprio oggetto di studio per psicologi e terapeuti, poiché sarebbe intimamente connesso ad alcuni aspetti della personalità di ciascuno di noi in cui, però, pigrizia e maleducazione non c’entrano proprio nulla.

Insomma, i ritardatari avrebbero giustificazioni serie per spiegare i motivi per cui non riescono mai ad arrivare in tempo a un appuntamento… E no, non stiamo affatto parlando delle classiche scuse “Mi si è fermata la macchina” o “All’improvviso è saltata la lavatrice e mi ha allagato l’appartamento”, ma di questioni che riguardano la psicologia dell’individuo.

Il ritardo è un nemico ostico

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Un interessante articolo pubblicato dalla BBC, avvalendosi anche del parere di esperti di psicologia, spiega i motivi per cui i ritardatari non dovrebbero essere considerati disorganizzati e caotici, ma piuttosto come persone di cui il ritardo è una componente praticamente innata. Secondo la terapeuta cognitiva e psicologa londinese Harriet Mellotte, per esempio, i ritardatari non sono persone “maleducate e prive di considerazione per gli altri”, anzi: molto spesso si tratta di persone organizzate (magari a modo loro), e desiderose di mantenere relazioni felici e appaganti con gli altri, da amici a colleghi, fino ai familiari. Il problema è, come scrive la psicologa Diana DeLonzor, nel suo libro Never Be Late Again, “il ritardo rimane la tua nemesi“; alcuni dei ritardatari cronici sono perfettamente consapevoli del proprio limite e se ne vergognano, intuendo i possibili danni che i loro continui ritardi possono provocare su relazioni e carriere, ma nonostante tutto non riescono a cambiare. È come se il ritardo fosse connaturato in loro.

È tutta questione… di personalità!

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A questo proposito uno studio condotto nel 2011 da Jeff Conte, professore di psicologia dell’università di stato di San Diego, in California, ha evidenziato come il ritardo potrebbe semplicemente rappresentare un tratto della personalità, analizzando la diversa percezione del tempo in un gruppo di individui. Secondo gli esperti, infatti, ottimismo, livelli di autocontrollo, ansia o ricerca del brivido sono tutte caratteristiche che definiscono le diverse tipologie di personalità, influenzando in questo modo anche la maniera in cui noi interpretiamo e viviamo lo scorrere del tempo.
Nello studio condotto da Conte, i partecipanti al test sono stati suddivisi in due gruppi: nel primo, il team A, c’erano persone ambiziose e competitive, il team B era invece composto da creativi, riflessivi ed esploratori. A entrambi i gruppi è stato chiesto di dire dopo quanto tempo pensavano fosse passato un minuto, naturalmente senza avere a disposizione degli orologi.
Il gruppo A ha sostenuto che fosse passato un minuto dopo circa 58 secondi, il gruppo B dopo circa 77 secondi. Ecco quindi dimostrato come la percezione del tempo sia soggettiva e attinente a tratti della tipologia di persona.

Ansia e depressione alla base del ritardo

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CLIP, Chronically Late Insane People (Gente folle cronicamente in ritardo): questo è il termine che Tim Urban, un oratore TED, ha dato ai ritardatari, che lui ha definito come persone con una “bizzarra compulsione verso l’autodistruzione“. In realtà, sostiene la dottoressa Mellotte, alla base del comportamento che spinge al ritardo ci sarebbero questioni psicologiche ben più ampie e complesse, caratterizzate soprattutto da ansia e depressione: gli individui ansiosi, spiega infatti la psicologa, tendono a evitare certe situazioni, mentre chi ha una bassa autostima solitamente è estremamente autocritico, perciò impiega molto tempo per controllare il proprio lavoro… Incorrendo nel ritardo spesso e volentieri. Ma anche chi è depresso potrebbe impiegare più tempo per compiere un’azione normalissima, generando quindi il ritardo. Il quale, insomma, sarebbe nient’altro che una “conseguenza di una condizione mentale profondamente angosciante o di condizioni neurologiche“.

Paura di fallire

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Alla base del ritardo, però, potrebbe esserci anche la paura, in particolare legata all’evento o alla scadenza su cui non riusciamo a essere puntuali. Insomma, come in un circolo vizioso, proprio l’insieme di aspettative e timori collegati all’evento potrebbe essere responsabile della nostra incapacità di arrivarvi in tempo, come se procrastinassimo continuamente l’appuntamento. È quanto sostiene la dottoressa Linda Sapadin, psicologa autrice di How to Beat Procrastination in Digital Age. Il problema, continua Sapadin, è che, anziché cercare di comprendere come affrontare la paura, questa finisce con il diventare una scusa, ed è il motivo per cui una frase di giustificazione di un ritardo solitamente include un “ma”. “Volevo arrivare in tempo, ma non riuscivo proprio a decidere cosa indossare”, oppure “Ho iniziato il lavoro, ma temevo che risultasse un po’ banale e fatto male” sono sono alcuni esempi di frasi che i ritardatari pronunciano abitualmente per scusarsi.
La psicologia newyorchese suggerisce quindi di cambiare quel “ma” con un “e”:

‘Ma’ indica opposizione e blocco – spiega – ‘E’ denota connessione e risoluzione, così il compito diventa meno scoraggiante, la paura non è più un ostacolo.

Questo è quanto spiegherebbe l’atteggiamento dei ritardatari, d’accordo, ma che si può dire di chi sta dall’altra parte? Insomma, come dovrebbero affrontare i ritardi coloro che, invece, passano la vita ad aspettare, condannati dalla loro puntualità? Gli specialisti assicurano che c’è un rimedio anche per loro.

E chi sta dall’altra parte?

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Naturalmente, se qualcuno arriva in ritardo, significa che, dall’altro lato, c’è anche chi sta aspettando. E l’attesa, si sa, non sempre è piacevole, in barba a chi sostiene che “aumenti il piacere”. Attenzione, però: abbandonarsi a scenate furiose per la lunga attesa non è costruttivo, e i modi per aiutare il ritardatario cronico a contrastare il suo problema sono altri. Anzitutto chi si trova sulla sponda opposta deve essere disposto a specificare ciò che è disposto a sopportare, prendendo una posizione netta e ben stabile ed evitando di arrabbiarsi. Semplicemente, si deve essere chiari su ciò che si intende fare in caso di ennesimo ritardo, senza lasciarsi intenerire sviando così dai propositi. Dare esempi concreti delle conseguenze che potrebbero esserci potrebbe indurre il ritardatario cronico a rivedere e correggere il proprio comportamento, cercando di migliorarsi.

In caso contrario, un bell’orologio potrebbe essere il regalo ideale…

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