Tutti sanno chi è Pablo Escobar, anche grazie a un meraviglioso film con Benicio Del Toro e la serie Narcos, che a breve arriverà per la prima volta in chiaro su Rai4, o anche Pablo Escobar, el padron del mal. Anche se poi, quando parliamo di fiction, persino un film biografico può contenere elementi fantasiosi.

Il re del narcotraffico colombiano, morto nel 1993 durante una rocambolesca fuga, ebbe molte persone a guardargli le spalle. Tremila sicari per la precisione, tutti morti tranne 4. Il solo libero, il solo che ha pagato il suo debito con la giustizia è John Jairo Velasquez Vasquez detto Popeye o anche El General de la Mafia. Arrestato nel 1992, ha scontato 23 anni di carcere ed è considerato la memoria storica del cartello di Medellin: per questo è stato intervistato da “Le Iene“.

Popeye era infatti la guardia del corpo di Pablo Escobar, oltre che il suo sicario, quindi uccideva per conto del narcotrafficante e lo scortava. Durante i primi anni ’90, sulla testa di Popeye pesava una taglia di 100 milioni di pesos colombiani, pari a 100mila dollari dell’epoca. Ma quello che potrebbe pesare invece sulla sua coscienza sono i 257 morti, uccisi con le sue mani, e gli oltre 50mila periti nella “guerra di Escobar”, contro il governo, i magistrati, i giornalisti e ovviamente il cartello della droga rivale.

Medellin – ha spiegato Popeye – è una città molto bella ma costruita su un cimitero. […] Quando sparavamo, ci preoccupavamo di non colpire i bambini, ma quando usavamo le autobomba non ci preoccupavamo di niente. Morivano donne, bambini, chiunque. Perché in guerra devi avere la mentalità da guerra.

Gli uomini di Pablo Escobar erano pronti a obbedire ciecamente ai suoi ordini: per loro era un Dio, non un “capo”. È per questo che ancora oggi Popeye lo ammira e nel suo film autoprodotto, dal titolo X Sicario Professional, va a rendere omaggio alla tomba del narcotrafficante. Nel maggio del 2018 Popeye è però tornato in carcere, per estorsione e associazione a delinquere.

Nonostante avesse provato a vivere da uomo onesto, quindi, Popeye non ha resistito, e in effetti ancora oggi non apare comunque pentito  per quanto fatto con Escobar, tranne che per l’assassinio di Luis Carlos Galán, per il quale nutre rimorso. Il sicario aveva, all’apice della sua “carriera” 12 milioni di dollari in immobili e 10 milioni in contanti, ma ha speso tutto per sopravvivere in carcere. L’intervista è poi proseguita con il racconto di come il popolo amasse Pablo Escobar, della sua filosofia «plata o plombo?» (cioè «accetti di farti corrompere o ti uccido»), armi, e “La Cattedrale”, ossia la prigione privata che Escobar si fece costruire in seguito a un patto con la giustizia colombiana. Popeye ha narrato anche di aver ucciso la propria donna, perché era diventata delatrice alla Dea. E di stimare i mafiosi italiani.

Io amo la mafia italiana, rispetto la mafia italiana. Perché la vera mafia è italiana, noi ne siamo una copia, loro sono i professori. Cosa ci piace della mafia italiana: l’omertà, la pistola Pietro Beretta e l’eleganza dell’italiano quando uccide. L’assassino italiano è un assassino professionista che non mostra i suoi sentimenti, che spara alla testa, che è ben vestito. Se l’obiettivo è uccidere una persona si uccide e basta. Non c’è trauma, niente, è morto e basta. Non ha bisogno di uno psicologo. La mafia italiana è una mafia molto difficile da individuare perché comunicano sempre per iscritto.

Un vero mafioso non ha telefono perché la polizia italiana è esperta a maneggiare questi apparecchi per individuare i telefoni. Il consiglio che do alla mafia italiana è di stare lontani dalla tecnologia. Devono tornare a fare come i grandi mafiosi. Tutto per iscritto, non devono parlare nelle loro automobili, non devono parlare nelle loro case, non devono riunirsi nei famosi ristoranti dove si mangia la pasta italiana. Devono essere molto discreti.

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