“Forgive me. I can no longer live with my nerves”.

Ovvero “Perdonatemi, non posso continuare a convivere con i miei nervi“. Questo biglietto di addio venne rinvenuto su una Renault abbandonata in un parcheggio di Parigi, accanto al corpo senza vita, nudo, di una donna.

Quella donna era Jean Seberg, la “diva triste” del cinema, un’attrice che ha sempre accarezzato la fama internazionale, il successo e la grande notorietà senza mai afferrarli davvero. Famosa come Jane Fonda negli anni ’60, così molti l’hanno definita, icona della Nouvelle Vague dalla sua interpretazione più celebre, Fino all’ultimo respiro, di Jean-Luc Godard, film del 1959 che la  consacrò come musa di quel filone cinematografico francese nato nella metà degli anni ’50, eppure mai veramente stella; Jean dava più che altro l’impressione di essere una “comparsa” di lusso, una comprimaria straordinaria ma destinata a restare relegata in un secondo piano, dietro le star.

La sua storia affascina e tormenta da quasi quarant’anni più per ciò che Jean è stata fuori dal set, per quell’epilogo drammatico che, anche dando per buono che non sia colpa diretta dei poter forti, non ha certo causato loro troppi dispiaceri.

Esordisce appena diciannovenne, Jean, nata a Marshaltown, nell’Iowa, ma presto emigrata a Parigi, superando un provino cui partecipano 180 mila candidate: il regista Otto Preminger la sceglie per interpretare la pulzella d’Orléans, Giovanna D’Arco, in un film che viene stroncato e aspramente criticato, anche per la sua interpretazione acerba, ma che certo lancia il volto fresco, pulito della Seberg, incorniciato da quel caschetto d’oro che poi diventerà uno dei look più copiati di quegli anni.

Fra gli Stati Uniti e la Francia i suoi film saranno 37, i suoi mariti 4, fra cui c’è il regista Romain Gary, che resterà suo sposo dal 1962 al 1970 e per lei lascerà la prima moglie, la scrittrice inglese Lasley Blanch, che proprio di Jean dirà, una volta “Molto carina, una giovane eccitante ragazza, un po’ volgare e non intellettualmente all’altezza del nuovo marito“.

Fin qui una biografia come molte altre, tra delusioni d’amori e professionali, ma ciò che ha aggiunto Jean Seberg alla lista dei grandi misteri americani è proprio la sua fine, quel suicidio, tentato per dieci volte e per dieci anni, una volta all’anno, in un’occasione particolare: quella del compleanno della figlia, Nina, nata prematuramente e morta 3 giorni dopo essere venuta al mondo.

La depressione, certo, il dolore per la perdita della bambina, il labile equilibrio psichico di Jean alla base della scelta di togliersi la vita; ma le ipotesi sulla salute mentale dell’attrice non sono sufficienti a spiegare le ragioni di un suicidio che, invece, direttamente o no, ha coinvolto persino l’FBI, anzi talvolta è proprio la teoria dell’ingerenza eccessiva dei federali americani sulla vita di Jean a essere accreditata come la più verosimile.

Perché l’FBI ce l’aveva con la Seberg? Per rispondere a questo quesito, impossibile non tenere a mente il particolare contesto storico e sociale in cui l’attrice ha vissuto. Sono gli anni della lotta civile, dell’attivismo politico, e tante colleghe di Jean, come la stessa Fonda o Vanessa Redgrave, sono alacremente impegnate in moltissime battaglie sociali. Ma la Seberg sceglie quella sbagliata, porta avanti, seppur in maniera discreta, il suo appoggio alle Black Panters, l’organizzazione che lottava, negli USA, per abbattere la discriminazione razziale tra bianchi e neri. Come si legge in un articolo su perdentipuntocom, l’FBI era stato incaricato dal Congresso di eliminare ogni movimento che proponesse di abbattere le barriere imposte alla popolazione afroamericana, usando i mezzi repressivi consueti per il regime statunitense, dalle false accuse giudiziarie alle persecuzioni dell’IRS, l’Internal Revenue Service, il fisco americano, e della DEA (la Drug Enforcement Agency, l’antinarcotici); ma c’era di più, fra i mezzi illeciti ma accettati che erano prassi dell’FBI c’erano diffamazioni, omicidi “casuali”, tutto racchiuso in un programma chiamato COINTELPRO. Jean Seberg finì per essere iscritta in quella lista, e l’FBI approfittò di un momento molto particolare per mettere in atto la “macchina del fango”, al fine di diffamare l’attrice.

Jean, che da Gary aveva avuto un figlio nel 1963, Alexandre Diego, rimase incinta nel 1970, ma l’FBI fece in modo di far uscire la notizia che il figlio portato in grembo fosse di uno dei leader del movimento delle Pantere Nere, forse Raymond Hewt. Una persona avrebbe inviato una lettera a un giornale di gossip, nella quale si sosteneva che proprio Jean avesse confidato all’autore della missiva il segreto della sua gravidanza. La notizia bomba uscì sul Los Angeles Times nel maggio del 1970, quando la Seberg era incinta di sette mesi, e, benché non si facesse espressamente riferimento a lei ma a una “Miss A.”, star del cinema che supportava le Black Panters, fu piuttosto facile concentrare l’attenzione su di lei.

L’attacco fu insopportabile per i nervi di Jean, e questo stato di esaurimento la portò a un parto prematuro: la sua bambina, Nina, nacque il 23 agosto 1970, ma morì appena tre giorni dopo, a causa dei calmanti e degli antidepressivi dei quali Jean aveva iniziato a fare largo uso. Per rispondere allo sciacallaggio della stampa l’attrice arrivò persino a mostrare ai fotografi il corpo morto, e bianco, della sua piccola creatura. Fu l’inizio della fine, per lei: subito dopo il primo tentativo di suicidio, ne seguirono altri nove, celebrati sempre in occasione della ricorrenza della nascita di Nina.

L’ultimo, il 30 agosto 1979, andò a buon fine, e il suo corpo privo di vita, come dicevamo,  venne ritrovato solo undici giorni dopo la morte, nel parcheggio di una zona residenziale della capitale francese. Suicidio o omicidio? Nessuna indagine è mai stata aperta, ma diciamo che, in entrambi i casi, la longa manus dell’FBI è piuttosto evidente: se Jean si fosse davvero tolta la vita, i federali di certo non se ne sarebbero dispiaciuti, ma proprio i precedenti tentativi di suicidio avrebbero anche consentito loro di inscenare l’ennesima prova, stavolta andata a buon fine, insabbiando quindi un omicidio. In qualunque modo siano andate le cose, la morte della Seberg è stata a dir poco “provvidenziale” per il bureau.

Kristen Stewart le ha ridato vita al cinema

Fonte: web

È la star di Twilight, Kristen Stewart, ad aver prestato il volto a Jean Seberg nel thriller politico omonimo, Seberg, diretto da Benedict Andrews e prodotto dai produttori di La La Land, presentato fuori concorso alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2019, e di cui Amazon Studios ha acquistato i diritti. Accanto alla Stewart ci sono Jack O’Connell (Skins, Unbroken), Anthony Mackie (Capitan America, 8 Mile) e la figlia di Andie MacDowell, Margaret Qualley.

Facendo l’attrice quello che cerchi è una sorta di legame con la gente e la sfida sta nel mantenere la propria onestà – ha dichiarato la Stewart – Jean Seberg aveva una fame diversa, però, quella di connettersi più di altri, più a fondo, con le persone. Era anche spinta da una forte vocazione umanitaria, in un momento in cui le persone non volevano vedere, capire. Quella che racconta il film è una storia molto importante, e lo è soprattutto oggi. Perché sacrificarsi per un’idea, per gli altri, è raro. Ed è giusto che Jean Seberg non venga ricordata solamente per il suo taglio di capelli

Qual è la massima aspirazione della sua vita?” chiede Jean Seberg nei panni di un’aspirante giornalista in Fino all’ultimo respiro. “Desidero divenire immortale e poi morire” risponde lo scrittore suo intervistato.
In quell’intento c’è riuscita lei.

 

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