Metti due attrici da Premio Oscar, separate da 52 anni di differenza d’età, una ormai considerata vera e propria icona di stile e di bellezza, l’altra con una carriera tutta in ascesa, che si ritrovano a parlare di un argomento che più doloroso e delicato non si può. Accade così che Jane Fonda, la bellissima ottantenne regina delle videocassette di fitness anni ’80 e attrice in una lista infinita di titoli che hanno fatto la storia del cinema, racconti a Brie Larson, stella emergente di Hollywood che può già vantare tra i trofei di casa l’Oscar 2017 come miglior attrice protagonista per Room, degli episodi di violenza sessuale subiti da bambina, con tutte le drammatiche conseguenze psicologiche che queste traumatiche esperienze hanno avuto su di lei, e sulla costruzione della propria identità femminile.

Perché Jane ha confidato proprio a Brie questo terribile passato di abusi? Non è solo perché la Larson, nel film che le è valso la prestigiosa statuetta come miglior interprete, ha dato vita a Joy “Ma” Newsom, la donna tenuta in ostaggio per sette anni e abusata ripetutamente dal suo rapitore, da cui ha avuto Jack, il figlio con cui è costretta a vivere rinchiusa in una stanza; Brie ha dimostrato in più di un’occasione di essere particolarmente toccata dal tema della violenza sulle donne, tanto che, durante la consegna del premio Oscar al collega Casey Affleck, premiato come migliore attore per il suo ruolo in Manchester by the sea, lei ha evitato di applaudire.

Nessuna antipatia pregressa, ma a Brie proprio non sono andate giù le vicende giudiziarie in cui Affleck è stato implicato, quando, nel 2010, la produttrice Amanda White e la fotografa Magdalena Gorka, che avevano lavorato con lui nel documentario Joaquin Phoenix- I’m still here, lo hanno accusato di molestie sessuali. “In questo modo ho detto tutto quello che avevo da dire sull’argomento“, ha spiegato poi in un’intervista la protagonista di Kong: Skull Island, riferendosi al suo atteggiamento freddo nei confronti dell’attore.

Brie ha inoltre dichiarato: “Ho lavorato molto con donne abusate sessualmente. Non possiamo fare così tanti passi indietro permettendo che le donne violentate pensino di essere colpevoli“, ed è proprio per questo motivo che Jane Fonda, intervistata dalla Larson su Net-a-porter, ha deciso di rivelare il suo passato di violenze.

Sono stata violentata, ho subito abusi sessuali da bambina e sono stata licenziata perché mi sono rifiutata di andare a letto con il mio capo, e ho sempre pensato che la colpa fosse mia, che non avessi fatto o detto la cosa giusta.

Questa la confessione choc dell’artista, da sempre impegnata per le battaglie sociali e civili, da quando, negli anni ’60, ha supportato il Movimento per i diritti civili contro la guerra in Vietnam, e che ha sempre cercato di recitare in pellicole le cui trame corrispondessero proprio al tipo di ideologia da lei perseguita; un esempio su tutti, Nine to Five (in italiano Dalle 9 alle 5… orario continuato), che racconta di tre donne alle prese con un capo severo e maschilista.

Lo spirito battagliero, del resto, la splendida signora Fonda non l’ha perso nemmeno ora, alla bella età di 82 anni, visto che nell’ottobre 2019 è stata arrestata per ben due volte nel giro di una settimana per le proteste veementi portate avanti sulla scalinata di Capitol Hill, la sede del Congresso a Washington DC, per chiedere misure contro il surriscaldamento climatico.

L’unico problema per me è che sono vecchia – ha scherzato Jane con i giornalisti – ho avuto difficoltà a salire sul veicolo della polizia perché ero ammanettata dietro la schiena e non avevo nulla a cui aggrapparmi.

Poi ha continuato, affermando di essere disposta a farsi arrestare ogni venerdì, “come Greta Thunberg“.

Sono stata un’attivista per il clima per lungo tempo e ho fatto conseguenti scelte di vita privata: guido un’auto elettrica, riciclo, mangio meno carne, evito la plastica. Ma sono consapevole che queste scelte individuali non possono cambiare le cose con la necessaria velocità. Mi sono chiesta allora che cosa potessi fare di più e Greta Thunberg, la studentessa svedese che ha dato il via allo sciopero della scuola tutti i venerdì, mi ha davvero colpito. Poi ho letto l’ultimo libro di Naomi Klein On Fire: The Burning Case For a Green New Deal. E queste due cose mi hanno fatto capire che dovevo mettere me stessa in gioco, unirmi alla lotta degli studenti e di Greta.

Oltre a occuparsi di clima, la figlia di Henry Fonda è anche una supporter del movimento V- Day, che lavora per fermare le violenze contro donne e ragazze, e nel suo impegno in prima persona ascolta le testimonianze di moltissime giovani che, come fece lei, si incolpano per quanto accade loro: “Conosco giovani ragazze che sono state violentate e nemmeno si rendono conto che è stato stupro. Pensano: ‘Dev’essere successo perché ho detto no nel modo sbagliato’.

Uno dei grandi risultati ottenuti dal movimento femminista è averci fatto capire che lo stupro non è colpa nostra.

Del resto, l’argomento violenza è fin troppo familiare per Jane, che oltre ad averlo subito ne ha visto gli effetti, in via indiretta, anche sulla madre, Frances Ford Seymour, vittima di abusi sessuali ad appena otto anni, e che si è suicidata a 42, quando lei era solo dodicenne. “Volevo stringerla a me e dirle quanto mi dispiacesse e che capivo tutto – ha detto – Sono riuscita a perdonarmi: non l’aveva fatto per colpa mia“.

 

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