I messaggi di Michelle Carter, accusata di omicidio per aver spinto il fidanzato al suicidio

Michelle Carter è stata accusata di aver istigato il fidanzato al suicidio. In attesa di scoprire la data del processo d'appello, è difficile capire se questa ventenne americana sia una moderna Lucrezia Borgia capace di spingere un uomo a togliersi la vita, o una ragazzina con gravi disturbi psichici che non era davvero cosciente della tragedia che stava per consumarsi.

Spietata assassina o ragazzina con evidenti disturbi psichici e potenzialmente sociopatica?

La storia di Michelle Carter ha sconvolto gli Stati Uniti, che hanno seguito tutta la vicenda dell’adolescente, accusata e condannata per aver istigato al suicidio il giovane Conrad Roy, con cui aveva instaurato una relazione platonica.

L’inizio di questa terribile storia di amore e morte risale al luglio del 2014, quando il diciottenne Conrad, un ragazzo del Massachusetts cresciuto a Mattapoisett, con una promettente carriera universitaria, venne ritrovato morto all’interno di un furgone, ucciso dalle emissioni di monossido di carbonio. Con il passare del tempo, mano a mano che le indagini andavano avanti, divenne chiaro agli inquirenti il ruolo che Michelle, più piccola di Conrad di un anno e all’epoca dei fatti minorenne, aveva avuto nella vicenda. Un ruolo terribile che, seppure non aveva commesso materialmente l’omicidio, si era resa responsabile di aver instillato nel suo fidanzato il tarlo del dubbio, fino a persuaderlo che togliersi la vita sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi, tramite una serie lunghissima di messaggi, il cui contenuto era più o meno il medesimo: una vera e propria istigazione al suicidio.

Com’è possibile che un ragazzo diplomatosi a pieni voti, con una famiglia solida e presente alle spalle, si sia lasciato convincere a uccidersi da una ragazzina che, per giunta, aveva visto appena tre volte e che perciò era a tutti gli effetti una perfetta sconosciuta, nonostante i continui scambi telefonici, di e-mail e messaggi?

E, d’altro canto, come è stato possibile che Michelle non abbia intuito davvero a quale pericolo stava esponendo Roy? Possibile che tutto ciò per lei rappresentasse un macabro scherzo, ma che non si sarebbe mai aspettata che il ragazzo avrebbe davvero dato seguito a ciò che lei gli diceva di fare? Oppure era esattamente ciò che voleva?

Ricostruire una vicenda così complessa e intricata non è affatto facile, tanto che sono ancora diversi i punti oscuri su cui la stampa americana si interroga, ma intanto il giudice ha preso la sua decisione, condannando la Carter a 15 mesi di reclusione per involuntary manslaughter, un reato che potrebbe rientrare nella definizione di omicidio colposo secondo il codice penale italiano.

Chi era Conrad Roy

Fonte: web

Conrad Roy è cresciuto a Mattapoisett, una piccola città a sud di Boston, che si affaccia sulla baia di Buzzards, nell’oceano Atlantico.  La sua era una famiglia di navigatori: suo nonno aveva fondato una società di navi da rimorchio, poi ereditata dal padre di Roy, e Roy, a sua volta, nel 2014, compiuti i 18 anni, aveva da poco ottenuto la patente nautica, e si era diplomato più o meno da un mese, con ottimi voti; anche la sua domanda di ammissione alla Fitchburg State University era già stata accolta, ma lui aveva già deciso di non iscriversi. Era un tipo atletico e andava bene a scuola, ma fin dai primi anni dell’adolescenza aveva mostrato di soffrire di ansia e depressione, finendo anche in cura da diversi specialisti; a 17 anni era inoltre finito in ospedale per un’overdose di paracetamolo.

Durante una vacanza a Naples, in Florida, alcuni anni prima, Roy si era innamorato di Michelle Carter, nipote di amici di una prozia di Roy, una ragazza di un anno più piccola di lui, anche lei mentalmente instabile. Nonostante i circa 80 chilometri di distanza (lei abitava a Plainville nel Massachusetts) Conrad  e Michelle iniziarono comunque una relazione a distanza, durata circa tre anni e basata soprattutto su scambi di messaggi telefonici. Ma non si erano mai visti più di tre volte, secondo quando riportato ai media americani anche dalle rispettive famiglie.

Il 12 luglio 2014 Roy trascorse la giornata in compagnia di sua madre e delle sue due sorelle minori. Marina Cogan, la giornalista autrice di un lungo articolo per the cut.com,  riporta che, durante una passeggiata in spiaggia per portare a spasso il cane di famiglia, la madre di Roy  trovò il figlio “distratto”, troppo occupato a mandare messaggi con il suo smartphone. Roy si era diplomato più o meno da un mese, con ottimi voti, e sebbene la sua domanda di ammissione alla Fitchburg State University fosse stata accolta lui aveva già deciso di non iscriversi.

Intorno alle 18:25 Roy è uscito di casa spiegando a sua madre che avrebbe fatto visita a un amico, e di non aspettarlo per cena. Prese il furgone e raggiunse il parcheggio di un supermercato Kmart a Fairhaven, poco distante da casa, dove, la mattina del 13 luglio, la polizia lo trovò morto per intossicazione da monossido di carbonio, dovuta alle emissioni di un motore a combustione da lui acceso all’interno del furgone.

Cosa si sapeva di Michelle Carter

Fonte: web

Michelle Carter, che all’epoca dei fatti aveva appena 17 anni, era considerata dai coetanei una ragazza a posto, brava a scuola e negli sport, socievole, divertente e piena di amici. In seguito alla sua incriminazione, i suoi attuali compagni di scuola hanno rifiutato di fare commenti, e alcuni di loro hanno raccontato di aver avuto in passato sospetti riguardo la salute psicofisica di Carter: spesso dimagriva e ingrassava in periodi di tempo molti brevi, e in passato aveva lei stessa fatto riferimento ad alcune presunte cure (confermate dal suo avvocato, Joseph P. Cataldo) ricevute all’ospedale psichiatrico McLean a Belmont, nel Massachusetts. Inoltre, gli amici di lei che sapevano della sua relazione con Conrad Roy avevano temuto che, in seguito alla morte di Roy, anche Carter potesse suicidarsi.

Come è stato possibile ricostruire tutto lo scambio di messaggi che ha portato all’incriminazione della giovanissima Michelle?

I messaggi scioccanti

Fonte: web

Subito dopo la morte di Conrad, la polizia entrò in possesso del telefono del ragazzo, e il capo delle indagini, Scott Gordon, scoprì il lunghissimo scambio di messaggi fra lui e Michelle Carter, messaggi che erano andati avanti anche per tutta la giornata del 12 luglio, giorno in cui Roy decise di togliersi la vita. L’intero scambio è stato reso pubblico poiché il tipo di responsabilità penale a lei contestata in sede di processo, secondo l’ordinamento specifico vigente nel Massachusetts, e l’età dell’imputata sono stati giudicati sufficienti per rendere gli atti giudiziari in parte pubblici, a differenza di quanto avviene in altri processi in ambito minorile. Riportato interamente da fox25boston.com, dal dialogo emerge chiaramente l’intenzione di Conrad di togliersi la vita, e tutti i dubbi legati soprattutto al dolore che avrebbe causato alla famiglia, come pure si evince palesemente l'”incoraggiamento” che la Carter ha dato al ragazzo nelle sue intenzioni suicide.

In un messaggio delle 4:22 del 12 luglio, giorno del suicidio, si legge ad esempio:

Michelle:Perché non l’hai ancora fatto?

Conrad: Sono incasinato.

Michelle: Cosa significa?

Conrad: La mia testa.

Michelle: Non puoi pensarci sopra. Devi farlo e basta. Avevi detto che volevi farlo. Cioè non capisco perché non lo fai

Roy: Non lo capisco neanche io, non lo so.

Michelle: Quindi scommetto che non lo farai. Tutto questo per niente. Sono confusa. Voglio dire, eri così pronto e determinato.

Conrad: Alla fine lo farò. Non so davvero cosa sto aspettando ma ho tutto chiaro nella mente (ripetuto diverse volte)

Michelle: No, Conrad, non lo farai. Come la notte scorsa. Continuavi a sviare il discorso e dicevi che lo avresti fatto, ma poi non lo fai mai. Sarà sempre così se non agisci. Così la stai solo rendendo più difficile. Devi farlo e basta.

Michelle: Vuoi farlo ora?

Conrad: C’è già luce fuori. Andrò a dormire, ti scrivo domani, ti amo.

Michelle: No! È adesso il momento migliore probabilmente, perché tutti dormono. Vai da qualche parte con il tuo furgone. Se non lo fai ora non lo farai mai. E puoi dire che lo farai domani ma non lo farai.

Lo scambio prosegue per il resto del giorno, si legge chiaramente come Michelle suggerisca a Conrad cosa fare una volta uscito con il furgone, come in questo messaggio delle 9:37.

Michelle: Dovresti farlo nel pomeriggio. Darà meno nell’occhio. La notte desta più sospetti. Invece prenderai il furgone e te ne andrai da qualche parte in un posto isolato, come un parcheggio. Un ragazzo seduto in macchina che ascolta la radio. Nessuno sospetterà.

Fino al terribile incoraggiamento finale, quando Conrad, alle 18:25 le scrive “Sto uscendo di casa” e lei gli risponde “Ce la puoi fare“. Dopodiché la ragazza manda quattro messaggi a Roy, dalle 21:19 fino alle 22:38.

Rispondimi, ti prego. Sono spaventata, stai bene? Ti amo, per favore rispondi. Verrò ad aiutarti il prima possibile. Credo che tu l’abbia fatto veramente.

E Conrad lo aveva davvero fatto. Si era tolto la vita.

Il processo contro Michelle

Anche nei giorni precedenti alla morte di Conrad le conversazioni tra lui e Michelle vertevano sul tema del suicidio, erano evidenti le preoccupazioni di lui riguardo il dolore che avrebbe provocato alla sua famiglia, e su cui lei ha più volte cercato di rassicurarlo. “Andranno avanti, per te, perché sapranno che è quello che avresti voluto – scrive la ragazza in un messaggio – sanno che non vorresti che loro siano tristi e depressi e arrabbiati e colpevoli. Sanno che tu vuoi che vivano le loro vite e siano felici. E quindi lo faranno per te. Hai ragione. Devi smettere di pensarci sopra, e farlo semplicemente.

Nel febbraio del 2015 le prove raccolte in seguito alla lettura delle conversazioni tra Carter e Roy sono state ritenute sufficienti per avviare un processo penale contro Michelle Carter con l’accusa di omicidio colposo, poiché la ragazza, come si legge nelle motivazioni del gran giurì chiamato a decidere sull’incriminazione, avrebbe causato la morte di Conrad “aiutandolo smodatamente e incautamente ad avvelenarsi con monossido di carbonio“. Secondo quanto riportato dal  New York Magazine, la tesi difensiva sostenuta pubblicamente dall’avvocato Joseph Cataldo non ha mai avuto intenzione di puntare l’attenzione sui presunti disturbi psichiatrici della ragazza; Cataldo ha sostenuto che la relazione a distanza tra Roy e Carter  fosse molto più complessa e confusa di quanto si evinca dalle parti rese pubbliche dal pubblico ministero, e che molte altre parti, risalenti a oltre un anno e mezzo prima della morte di Roy, attestino la depressione del ragazzo e la sua già dichiarata intenzione di suicidarsi, prima di ogni eventuale influenza da parte di Carter. Tanto che, prosegue l’avvocato, la sua assistita avrebbe scritto un SMS poche settimane prima del suicidio, in cui diceva a Conrad: “Devo sapere che tu stia bene e che tu non abbia intenzione di fare niente. Mi dispiace che quello che sto facendo non sia abbastanza. Sai che sto cercando di fare del mio meglio.

In almeno due circostanze Roy avrebbe anche cercato di convincere Michelle a suicidarsi con lui: in un messaggio, secondo quanto riferito dall’avvocato Cataldo, il ragazzo le avrebbe scritto “Facciamo come Romeo e Giulietta”, perciò gli unici presunti incitamenti al suicidio da parte di Carter sarebbero rintracciabili soltanto negli scambi di messaggi avvenuti negli ultimi tempi prima della morte di Roy. E comunque Michelle sarebbe stata “involontariamente intossicata” dal potere che aveva su di lui. Questa è almeno la tesi difensiva, che Cataldo ha costruito citando anche il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tutela la libertà di culto, di parola e di stampa, sostenendo a tal proposito che non ci fosse mai stata un’azione fisica compiuta da Michelle Carter in relazione alla morte di Roy. “Erano soltanto parole. E occorre che le parole da sole rappresentino una reale minaccia, perché si possa negare loro la tutela garantita dal primo emendamento”. Tuttavia questo collegamento è stato smontato dal giudice della Corte minorile di Taunton Bettina Borders, che ha respinto le prime richieste della difesa di far cadere l’accusa, la quale ha stabilito che la libertà di parola tutelata dal Primo emendamento non può comprendere l’istigazione al suicidio.

La ragazza rischiava fino a 20 anni di reclusione, ma la condanna è stata ridotta a soli 15 mesi di carcere; ed è proprio notizia di questi ultimi giorni che il team di legali della Carter abbia annunciato l’intenzione di ricorrere in appello, con il giudice Lawrence Moniz che ha accordato di sospendere la pena detentiva fino al processo di appello.
Non è ancora chiaro quando comincerà il processo di appello, che potrebbe confermare o cambiare la pena inflitta a Michelle.

Nel frattempo, un’intervista rilasciata nei giorni scorsi ad ABC News e riportata dall’Independent dalla zia di Conrad, Kim Bozzi, torna a gettare la luce sui presunti disturbi psichici della ragazza; che, subito dopo le esequie, celebrate nel luglio del 2014, avrebbe chiesto alla famiglia del ragazzo di poter entrare nella sua stanza, portare via qualche oggetto a lui appartenuto, oltre che di poter avere le sue ceneri.

Se non fosse per lei, mio nipote sarebbe ancora vivo.

Ha dichiarato la signora Bozzi. Che ha anche aggiunto come la ragazza abbia provato più volte a mettersi in contatto con la famiglia Roy, prima di essere incriminata per istigazione al suicidio.

Ha iniziato a inviarci email, messaggi e a telefonarci dicendo che non aveva mai tentato così tanto in vita sua di aggiustare le cose e si è lamentata di non aver fatto abbastanza. Ha anche organizzato un partita di baseball di beneficenza per Conrad, e non ha smesso di mandargli messaggi anche una volta morto. Ha una mente disturbata.

Ma il messaggio più incredibile Michelle lo ha scritto a un suo amico, pochi giorni dopo la tragedia.

La sua morte è colpa mia – si legge – Cioè, insomma, avrei potuto fermarlo. Ero quella al telefono con lui, e lui è uscito dal furgone perché stava funzionando e quindi si è spaventato, e io gli ho detto di tornare dentro… perché sapevo che avrebbe rifatto tutto il giorno dopo, e io non potevo più sopportare che continuasse a vivere in quel modo. […] Non avrei potuto farcela. Non lo avrei lasciato. La terapia non lo aveva aiutato, e volevo che lui andasse al McLean quando ci sono stata io… ma non voleva andarci perché diceva che loro non avrebbero potuto dire o fare niente per aiutarlo o farlo sentire diversamente da come si sentiva. Quindi io, insomma, ho cominciato a mollare perché niente di quello che facevo gli era di aiuto, però avrei dovuto provarci di più. Voglio dire, avrei dovuto fare di più. Ed è tutta colpa mia perché avrei potuto fermarlo ma cazzo non l’ho fatto. E tutto quello che dovevo dirgli era “ti amo” e “non farlo mai più”, e lui sarebbe ancora qui.

I messaggi parlano da soli ma il dubbio se Michelle Carter sia una ragazzina disturbata che davvero si è resa conto solo dopo che avrebbe potuto salvare un ragazzo altrettanto problematico, o un’assassina lucida e determinata, rimane.

 

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