Sabrina: "Cinque anni e mezzo senza la mamma", prigioniera del papà

Con un e-book scritto con la mamma, Sabrina racconta la sua esperienza di bambina rapita dal padre e tenuta prigioniera per cinque anni in un paese straniero. La sua, per fortuna, è una storia a lieto fine, ma i numeri della sottrazione internazionale di minori sono inquietanti.

Un’odissea lunga cinque anni e mezzo, lei da una parte, in un paese straniero, troppo piccola per comprendere di essere solo una pedina in un terribile gioco di vendetta, in Italia la mamma, aggrappata fino all’ultima speranza con tutta se stessa, instancabile nella volontà di riportarla a casa, la “sua casa”.

Tanto è durata la “prigionia” di Sabrina, un nome di fantasia per una bambina che ha vissuto invece tutt’altro che cose fantastiche; perché lei, che oggi, rientrata finalmente in territorio italiano, può raccontare la sua storia terribile, era una di quelle bambine vittime della sottrazione internazionale di minori. Rapita, portata via dal suo paese, non da sconosciuti senza volto in cerca di riscatti  o mossi da intenti criminali, ma dal padre, da quell’uomo che, anziché proteggerla e assicurarle un’infanzia serena e spensierata e un avvenire roseo, l’ha precipitata in un incubo che spesso si è temuto non potesse avere il lieto fine.

La trama, purtroppo, è sempre la stessa, e parla di una coppia con nazionalità diverse che giunge a una separazione, e di un ex compagno o marito che, per vendicarsi della moglie, rapisce i figli portandoli oltre i confini italiani, il più delle volte nel suo paese di origine, dove è protetto da amici e familiari e può far interrompere ai bambini ogni rapporto con la madre e con la vita “italiana”.

Parlano di “kidnapping” familiare, perché a tutti gli effetti di questo si tratta, di un rapimento che avviene appunto all’interno del nucleo familiare, e può riguardare sia famiglie “miste” europee che extraeuropee. Per dare una minima, ma incisiva idea del problema, parliamo di circa trecentocinquanta  bambini italiani rapiti da uno dei due genitori, almeno questa è la cifra di quelli censiti dal ministero della Giustizia, ma forse sono addirittura mille quelli che mancano all’appello, secondo la stima delle associazioni che si occupano di minori contesi tra stati. Questi bambini smettono di essere “figli” per trasformarsi in veri e propri “ostaggi”, pedine di un gioco snervante che spesso assume anche i contorni di casi diplomatici, di guerre fra stati, di appelli infiniti alle istituzioni e di viaggi interminabili da un paese all’altro alla ricerca di quel bambino sparito nel nulla.

Sandra Fardella, ad esempio, la mamma della piccola Sabrina, non ha mai smesso di cercare, di sperare, di martellare le istituzioni affinché si muovessero e cercassero collaborazione nelle autorità egiziane, paese di cui il papà della bambina è originario e dove l’ha portata. È andata persino al Cairo, Sandra, pur di riabbracciare Sabrina, decisa a non tornare in Italia senza la sua piccola, e la sua tenacia ha infine convinto il governo italiano che, con una mobilitazione urgente, nel 2015  è finalmente riuscito a liberarla, e a farla tornare nel nostro paese. Dopo cinque, lunghissimi anni da prigioniera, con un’altra vita, un’altra cultura, vissuta nelle bugie del padre.

È l’inverno del 2010 quando Sabrina si imbarca su un volo di sola andata con il papà, e ha solo quattro anni.

Per farmi smettere di piangere e convincermi a salire sull’aereo mio padre mi aveva regalato un peluche bianco – racconta adesso Sabrina – ‘Tua madre è morta, mi ripeteva, è morta’. Ricordo che arrivammo in un villaggio e lui si mise a gridare se c’era qualcuno che voleva prendersi cura di me. C’erano polvere e case povere, non capivo nulla di quello che mi dicevano… Poi lui è scomparso, mi ha lasciato lì, con quella gente sconosciuta.

In Egitto, forse in un villaggio del Sinai, Sabrina è affidata probabilmente a parenti o conoscenti dell’uomo, disposti a proteggerlo.

Mi obbligavano a mettere il velo e a imparare i versi del Corano. Se sbagliavo venivo picchiata. A pranzo e a cena per mangiare dovevo raccogliere i resti dei loro piatti dopo aver cucinato e pulito. Mio padre mi aveva detto che la mamma era morta e in Italia non sarei più tornata, era meglio se ubbidivo alla sua nuova moglie. Mi spostavano da una casa all’altra, nei villaggi, nel deserto, poi ho capito perché: era la polizia che mi cercava… E la sera piangevo, fino a che gli occhi non si seccavano. Ero piccola ma volevo morire, dormire per sempre.

Braccato dalla polizia, per più di cinque anni il padre fugge con lei nel deserto, coperto da una rete fittissima di complici; Sabrina viene maltrattata, anche da quella signora – forse la nuova moglie del padre – che cerca di convincerla dicendole “Sono la mamma”. È piccola, non stupida, e capisce perfettamente che quella non è la sua vita, non è la sua casa… che suo padre le ha fatto qualcosa di sbagliato.

Torna finalmente in Italia nel 2015, dicevamo, quando ormai parla solo l’arabo ed è per natura diffidente, dopo tutto quello che ha subito.

Quando l’ho riabbracciata era alta un metro e venti e pesava 25 chili – dice mamma Sandra a Repubblica – Per 5 anni da sola ho gridato al mondo che rivolevo mia figlia. Le istituzioni mi promettevano aiuto, ma nulla si muoveva. Anzi erano in tanti che mi dicevano ‘Ormai l’hai persa, parlerà soltanto arabo, non ti riconoscerà’.

Insieme, mamma e figlia hanno deciso di scrivere un piccolo e-book (disponibile a questo link su Amazon) , intitolato “Cinque anni e mezzo senza la mamma“, non solo per raccontare la drammatica esperienza vissuta, ma anche per dare forza proprio a quei genitori, e a quei figli, che lottano per lo stesso motivo, che stanno sopportando sofferenze indicibili e combattendo contro indifferenza delle istituzioni e cattiveria di ex partner fuggiti all’estero, per potersi riabbracciare.

È proprio nell’e-book che Sabrina, che oggi ha quasi dodici anni, ha parlato delle sue sensazioni, dei suoi ricordi di quei giorni terribili, facendo capire che bambina meravigliosa e sensibile sia nella frase

Se non fosse mio padre lo odierei con tutte le mie forze.

Già, quel padre, da lei chiamato Abdullah, oggi è in carcere – in Italia – accusato di sottrazione internazionale di minore; per non correre nessun tipo di rischio e proteggere la loro incolumità, però, Sandra e Sabrina sono state trasferite in una città diversa da Milano, dove abitavano prima.

Loro due ce l’hanno fatta, sono riuscite a tornare insieme, ma non tutti i genitori sono altrettanto fortunati.

Con Sabrina abbiamo scritto questo e-book per dare coraggio ai genitori che lottano – dice Sandra – Non mollate, e credete nella giustizia.

 

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