L’università diventa un lusso o una perdita di tempo?

E’ quello che viene spontaneo chiedersi osservando le ultime statistiche riguardo le immatricolazioni: in dieci anni gli immatricolati sono scesi del 17%. Come se in un decennio fosse scomparso un ateneo di grandi dimensioni, ad esempio la Statale di Milano. Questi dati vengono riportati  in un documento del Cun (Consiglio Universitario Nazionale) che segnala anche il calo spaventoso di finanziamenti destinati alle università. I professori inoltre sono in calo, e questo ha portato anche alla soppressione di più di mille corsi di laurea (in sei anni): quest’anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. Oltretutto, laboratori obsoleti, contratti limitati, burocrazia lenta ed espasperante. La situazione si può dire vergognosa.

Questi fattori insieme, la disoccupazione dei laureati, i tagli fanno sì che si risparmi anche sulla cultura. Il nostro numero di laureati è il più basso in Europa, e inoltre le borse di studio sono state tagliate, impedendo l’accesso all’università anche per chi è meno abbiente. Si taglia tutto, indistintamente, spesso dove non serve. Si assiste al fenomeno delle caste che spendono e spandono, mentre un Paese va a rotoli.

Il circolo è diventato vizioso o meglio forse ce ne sono tanti, tutti aggrovigliati: chi si laurea trova lavoro? Se lo trova lo trova per poco tempo e mal pagato; i laureati sono troppo qualificati ma anche chi non ha una laurea fatica a trovare lavoro; le aziende comunque chiudono, schacciate dalle tasse. Chi dice poi che i giovani sono schizzinosi, chi emigra, chi la fa finita.

Di certo continuare a non investire sui giovani e anche sulla ricerca, che purtroppo nel nostro Paese è carente nonostante le menti brillanti che vi sono, non è la soluzione, in quanto è solo con un cambiamento che si può dare la spinta necessaria per uscire dalla crisi.

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