Mentre anche nel nostro paese da un paio d’anni è entrato in vigore il divorzio breve, che consente di diminuire drasticamente i tempi per sancire la separazione dal coniuge, in India vige ancora una pratica a dir poco assurda che conferma, casomai ce ne fosse bisogno, la radicata discriminazione delle donne nella società e nella cultura, e il ruolo marginale della moglie all’interno della coppia; divario sociale mostrato, ad esempio, anche nei divieti imposti a frequentare luoghi di culto o a svolgere determinate attività nel periodo del ciclo mestruale.

Il triplo talaq

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Si chiama triplo talaq, ed è un’interpretazione della legge islamica secondo la quale al marito è sufficiente pronunciare per tre volte la parola “talaq” perché la moglie venga ripudiata e possa scattare automaticamente il divorzio. Se l’uomo sceglie questo tipo di divorzio  alla moglie viene negato il diritto di ricevere un terzo del suo stipendio, come sancito per legge.
Il divorzio tramite triplo talaq scaturisce da un’interpretazione sunnita della legge islamica, la Sharia, in particolare della scuola Hanafi dell’Islam, che non è accettata da tutti i Paesi musulmani: Pakistan, Bangladesh, Arabia Saudita e altri 20 Nazioni musulmane l’hanno infatti rinnegata; in India però i musulmani rappresentano circa il 13% della popolazione, ed è rimasto uno degli Stati in cui essa è in vigore: questo implica che il marito non possa divorziare in tribunale, e che la moglie debba accettare impotente la sua decisione di sciogliere il matrimonio senza potersi opporre.

C’è di più; data l’evoluzione tecnologica, al marito desideroso di chiedere il divorzio basta pronunciare il triplo talaq, o scriverlo, anche via WhatsApp,  via SMS, oppure con un annuncio sul giornale, cosa che rende il tutto ancora più degradante per la moglie che viene ripudiata senza poter fare assolutamente nulla.

Un incubo per le mogli

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La minaccia del talaq, o meglio de “talaq-ul-bidat“, che significa appunto “ripudio”, può far davvero vivere nel terrore le mogli per anni; il Guardian ha raccolto le testimonianze di alcune di loro, come Arshiya, che ha ricevuto il triplo talaq dopo avere scoperto, dopo 12 anni insieme e un figlio, che il marito la tradiva. Ha pregato il consorte di continuare a tradirla ma di non pronunciare le tre parole che l’avrebbero costretta a vivere in strada, ma senza successo.
Fatima ha addirittura ricevuto il “talaq” via SMS dal marito, scoprendo successivamente che lui era già sposato con un’altra donna quando si è unito a lei in matrimonio.

Afreen Rehman, 25 anni, è stata invece ripudiata con una lettera per posta prioritaria. Insomma la paura di essere abbandonate e di finire a vivere di stenti, private degli alimenti, di una casa, di tutto, costringe spesso queste donne a essere disposte ad accettare anche situazioni paradossali e assolutamente lesive della propria dignità umana, come appunto un’infedeltà ripetuta, o un caso di bigamia. E, nonostante tutto, spesso i loro tentativi vanno a vuoto, perché non riescono a salvarle dal temutissimo triplo talaq. Una situazione davvero umiliante e sconfortante, altamente pregiudizievole dei più sacrosanti diritti umani.

La rivolta delle donne

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Secondo un sondaggio svolto tra le donne musulmane, ben il 92% di loro è contraria alla pratica del triplo talaq; e proprio le donne, dopo anni di battaglie e di appelli caduti nel vuoto per porre fine a questa interpretazione integralista della Sharia, alla fine hanno deciso di alzare la voce e di fare qualcosa di concreto per liberarsi dalla maledizione del talaq, presentando lo scorso gennaio, in più di 50 mila, delle petizioni alla Corte Suprema di Delhi.

In questo sono state sostenute anche dal governo di Delhi, che ha dichiarato alla stessa Corte Suprema la sua ferma opposizione alla pratica del triplo talaq in quanto contraria all’uguaglianza tra uomini e donne riconosciuta dalla Costituzione indiana. Molti esperti di diritto islamico, inoltre, hanno affermato che la pratica non è conforme al Corano poiché, secondo il testo sacro, un matrimonio musulmano è un contratto sociale e il diritto al divorzio è dato a entrambi i coniugi.
Già nel dicembre 2016 anche l’Alta Corte di Allahabad, capitale dello Stato indiano di Uttar Pradesh, aveva condannato il divorzio istantaneo, in quanto irrispettoso dei “diritti delle donne musulmane”.

Scatenando, in questo caso, la risposta choc del leader dell’Indian Muslim Personal Law Board, l’istituto musulmano dell’India per la difesa della legge personale o religiosa, “Meglio divorziare da una donna che ucciderla”.

Risposta che si riferiva soprattutto alle famiglie indù, in cui accade che marito e suocera si liberino della sposa dopo aver incassato la dote, bruciandola viva, o facendo passare l’uxoricidio come un suicidio, con finte lettere d’addio e così via, ma che comunque ha lasciato davvero interdetti tutti.

Insomma, più voci si sono levate a sostegno delle donne vittime della pratica del triplo talaq, inducendo, infine, la Corte Suprema a pronunciarsi sull’argomento, di cui sta discutendo proprio in questi giorni; entro un mese, assicurano, almeno secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Ani, i giudici stabiliranno se la pratica del triplo talaq sia legittima o se invece contrasti effettivamente con la Costituzione indiana.

Se la Corte Suprema darà ragione alle spose in rivolta, 90 milioni di donne indiane potranno essere liberate dalla minaccia del divorzio istantaneo, anche se questo, purtroppo, non significherà certamente l’abolizione delle discriminazioni; proprio in virtù del fatto che, con questa legge, gli uomini non debbano andare in tribunale per divorziare, un’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale renderebbe assolutamente necessaria una revisione dell’attuale legge sul divorzio, il Muslim Personal Law (Shariat) Application Act 1937., che è stata approvata sotto il dominio coloniale britannico, dilatando i tempi.

Anche se questo, sicuramente, alle donne indiane poco importerebbe, per loro sarebbe già una vittoria non poter più essere ripudiate via WhatsApp con una semplice parola.

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