Sono in molti a pensare che più si lavora, più si è produttivi; ma non c’è niente di più sbagliato. Vi sarà sicuramente capitato di svegliarvi piene di energia pronte per una nuova giornata lavorativa e dopo un certo numero di ore finite per detestare la maniera in cui avete svolto un lavoro. Nonostante ci mettiate tutto lo sforzo del mondo, non riuscite proprio a fare di meglio.

Le persone tendono a lavorare fino a 70 ore a settimana facendo delle loro scrivanie la loro seconda casa (soprattutto negli Stati Uniti). Non c’è errore più fatale per il proprio cervello e per il proprio rendimento.

Quanto bisogna lavorare giornalmente?

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Secondo lo psicologo K. Anders Ericsson, per essere produttivi al lavoro non bisogna mai superare le quattro o le cinque ore giornaliere. Una volta superate, la produttività va via, si diventa molto più lenti e tutto il resto è solo un grande sforzo.

C’è un’eccezione però: i dipendenti possono essere produttivi anche dopo aver superato le cinque ore lavorative; ma secondo quanto afferma lo psicologo, diventa solo una cattiva abitudine. È anche vero che in questo caso non è il dipendente a scegliere. Come si dice in questi casi? “Il capo comanda”; e se il capo dice di continuare a lavorare, che alternativa abbiamo? Subiamo pressione a abbiamo paura di deluderlo, di conseguenza cerchiamo di essere più produttivi possibile.

I risultati degli degli esperimenti

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Secondo uno degli esperimenti di Ericcson, i capi che hanno ridotto le ore lavorative settimanali hanno ricevuto molta più produttività da parte dei loro dipendenti, i quali erano anche molto più sereni sul lato emotivo. Uno di questi è Ryan Carson, amministratore delegato della società Treehouse che nel 2006 ha stabilito un massimo di 36 ore lavorative settimanali. Il risultato? Dipendenti più produttivi e più felici.

Secondo quanto riporta lo stesso Carson in una video-intervista per The Atlantic, dopo aver introdotto questo cambiamento, l’azienda continua ad avere un posto tutto suo nel mercato, i profitti si estendono a milioni di dollari e i dipendenti si recano a lavoro con il sorriso sulle labbra:

“Non si tratta di passare più tempo con la famiglia, di avere più tempo per svagarsi e di lavorare di meno. Si tratta di vivere una vita totalmente più equilibrata. Ci prendiamo cura delle persone perché pensiamo sia la cosa più giusta da fare.”

Altro caso è quello di Nate Reusser, fondatore della Reusser Design che nel 2013 ha ridotto i giorni lavorativi a 4 giorni a settimana. Niente venerdì, niente sabati e niente domeniche passati dietro allo stress lavorativo. Come riportato dalla CNN Money, dopo aver adottato questa tecnica, i suoi dipendenti sono molto più motivati e tendono a lavorare più velocemente prestando maggiore attenzione alle attività da svolgere:

“È come quando si lavora prima di andare in vacanza.”

Secondo i suoi dati, Nate e i suoi dipendenti riescono a finire un lavoro straordinario in più o meno un anno, riuscendo anche a portare a termine i progetti dei clienti. Unica pecca? Quando un membro dello staff va in malattia durante quei quattro giorni diventa un bel guaio.

In poche parole, ridurre le ore lavorative ai dipendenti fa bene non solo a quest’ultimi ma anche ai capi stessi, in quanto l’azienda ne può solamente trarre beneficio.

I bambini e lo studio

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Ma questo non accade solo con i lavoratori, anche gli studenti ne traggono un gran vantaggio. Un esperimento effettuato in Colorado ha confrontato una serie di alunni appartenenti rispettivamente a quarta e quinta elementare. I bambini che studiavano cinque giorni alla settimana rispetto a quelli che studiavano di più, erano più produttivi di circa il 12% sulla matematica e di circa il 6% sulla lettura.

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