Tutti noi ne abbiamo avuto a che fare almeno una volta nella vita. E il più delle volte, in tutta onestà, dopo la prima chiamata riconoscendo il numero non rispondiamo più, oppure ci secchiamo per l’insistenza con cui continuano a tenerti al telefono anche dopo un rifiuto.

I call center sono ormai una realtà lavorativa solidissima del nostro paese; molte tra le più importanti aziende di servizi, come elettricità, gas, oppure alcune multinazionali si affidano a quelli che una volta erano definiti “centralinisti” nella speranza di strappare qualche nuovo contratto.

Il problema è che fra i nostri sbuffi scocciati per le numerose telefonate ricevute, e la pressante ricerca della persuasione di qualche potenziale nuovo cliente, la realtà dell’esercito dei call center è fatta spesso di condizioni lavorative non facilissime, spesso al limite della legalità e dello “sfruttamento”. Quanto successo in un’azienda di Bari, raccontato anche sulla pagina locale di Repubblica, potrebbe forse chiarire molti punti oscuri, in primis il motivo per cui gli operatori ci tengono attaccati al telefono con insistenza anche dopo aver  ricevuto un rifiuto.

1. Il caso FlipCall

Fonte: web

Nata nel 2011 e specializzata in servizi outbound (con chiamate in uscita), FlipCall è una multinazionale che fa parte del gruppo Comdata, il quale vanta 28 poli operativi e oltre 10 mila postazioni in tutta Europa.

Dopo che il contratto collettivo nazionale di categoria, lo scorso febbraio, ha imposto di rispettare la paga oraria di 6 euro e 51 centesimi lordi all’ora, la sede di Bitritto, in provincia di Bari, ha trovato un escamotage piuttosto astuto ma evidentemente poco cortese nei confronti dei propri impiegati, il cui il pagamento non viene  più effettuato a ore ma a “ore produttive“, in cui deve essere garantita una percentuale precisa di parlato, di attesa, di compilazione moduli dopo la chiamata; insomma, chi fa troppe pause o resta in silenzio più del dovuto si vede decurtato lo stipendio. Così, dallo scorso febbraio gli operatori del centro pugliese, che vanta nella propria lista clienti le società più importanti di telefonia, energia e gas, sono praticamente obbligati a tenere al telefono il potenziale cliente almeno il 60-70 per cento dell’ora, per non vedersi diminuire la paga. Come è possibile tutto ciò?

2. Come funziona l’escamotage

Fonte: web

Come si legge nell’accordo nell’allegato 2, capitolo “Compensi”,

Il forfettario lordo è di 6 euro e 51 centesimi per ogni ora produttiva.

I minuti vengono misurati dai sistemi informatici e divisi in quattro stati, ovvero in conversazione, in composizione, post chiamata e pausa, che è obbligatoria per legge. Un’ora produttiva è la somma di tempo di reale conversazione, pausa, una percentuale massima del 10 per cento di post chiamata e una di attesa, non superiore al 20 per cento del totale. Insomma, se prima la paga degli operatori era di 5 euro a prescindere dal tempo impiegato e dalla sua disposizione, da febbraio lo schema lavorativo è rigidamente imposto. A rimpinguare un po’ le casse dei dipendenti, come spiegano alcuni di loro, per fortuna ci sono i premi per i risultati raggiunti, ma val sempre la pena ricordare che i contratti degli operatori, quasi 1.200 quelli di Bitritto, sono quelli di co.co.pro. con rinnovi mensili o trimestrali.

3. La posizione dei sindacati

Fonte: web

Insomma verrebbe da dire “fatta la legge trovato l’inganno”. E i sindacati di categoria cosa ne pensano?

Un meccanismo illegale- dicono dalla Slc Cgil, che hanno accompagnato i lavoratori pugliesi della Tim a protestare in corteo a Roma e Milano.

E poi Andrea Lumino, coordinatore regionale del settore call center:

Da quando sono entrati finalmente in vigore gli adeguamenti salariali, le aziende le provano tutte per continuare a pagare poco, con iniziative autonome illegittime. Ecco perché invitiamo i lavoratori a denunciare e a chiedere il nostro intervento.

Parla di “sfruttamento selvaggio” il coordinatore regionale Slc, Rocco Rossini:

Qualcuno viene pagato in base ai secondi secchi di conversazione, controllati da cronometro.

Insomma la prossima volta che sbufferemo rispondendo alle richieste di un call center, potremmo almeno cercare di riflettere sulle condizioni lavorative di queste persone, che molto spesso sono ragazzi alle prime armi, altre volte madri o padri di famiglia che fanno i “rompiscatole” di mestiere per arrivare alla fine del mese. Ed essere almeno più gentili, anche se quello che ci propongono non ci interessa.

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