Capelli biondi e un sorriso che conquista subito. Sarebbe uno dei tanti comunissimi bimbi Elliot, tranne che per un dettaglio non da poco: ha un problema che prende il nome di Food Protein-Induced Entercolytis Syndrome (FPIES). Si tratta di una sorta di allergia molto grave, che impedisce a Elliot, 16 mesi, di mangiare praticamente qualunque cosa, e di solito è innescata dalla soia e dai prodotti caseari, ma non sappiamo se è stato questo il caso del piccolo Elliot. Tanto che il bambino viene nutrito artificialmente. Ma la madre non si dà per vinta e lancia un appello in tutto il mondo: c’è qualcuno che conosce bene questa sindrome e può aiutare Elliot a guarire e a condurre un’esistenza normale?

Per comprendere, bisogna fare un passo indietro. Quando aveva tre mesi, il bimbo fece il suo ingresso in ospedale, per curarsi da un problema alla laringe – un pezzo di tessuto bloccata le sue vie aeree – ma i medici notarono qualcosa di ben diverso: Elliot era passato da un peso che lo collocava, per la sua età, nel 75esimo percentile, e cioè in una crescita perfettamente in media per lo standard, a un peso che lo collocava nel terzo percentile, che significa che il piccolo era notevolmente sottopeso.

«Fu diagnosticato che, formalmente, c’era un “accrescimento fallito” – ha spiegato la madre Leah Carter in un’intervista – Un nome che ci ha fatto allarmare completamente.»

A Elliot è stata diagnosticata ufficialmente la FPIES a 5 mesi, mentre a nove mesi gli fu diagnosticata anche la Mast Cell Activation Syndrome (MCAS): la condizione significa che il cibo causa una reazione al corpo del bambino, provocandogli il vomito. Ogni cibo causa il vomito al piccolo, con l’eccezione del latte materno e delle chips di ghiacchio, la sua “merenda”.

Elliot
Fonte: Leah Carter

«Molti bimbi con la FPIES – continua Carter – hanno uno o due cibi che non possono mangiare, ma Elliot è letteralmente allergico a tutto.»

Mamma e figlio vivono in Michigan e Elliot sta usufruendo in questo periodo del supporto nutrizionale alla vita, una decisione che la famiglia ha fatto dopo aver esplorato estenuanti opzioni, inclusa la prescrizione ad alcune formule ipoallergeniche. In pratica, così Elliot è nutrito artificialmente da un tubicino nel braccio al Cincinnati Children’s Hospital. Possiamo solo lontanamente immaginare cosa provi Leah, tutta la preoccupazione di mamma che deve affrontare e risolvere un problema in grado di affliggere in quel modo suo figlio, potenzialmente per tutta la vita. Perché la malattia può non soltanto impedire a Elliot una vita normale, ma può anche diventare letale se qualcosa andasse storto.

Al momento, Leah Carter ha dovuto lasciare il suo lavoro di infermiera pediatrica: un solo bambino aveva la priorità nella sua vita, il suo bambino. E indipendentemente dalle rinunce che ha dovuto affrontare, è determinata a trovare una risposta al problema, mentre i medici continuano a cercare di aiutare lei e suo figlio. Sebbene fosse esitante sulle prime, Leah ha autorizzato i genitori, la sorella e il padrino di Elliot a una campagna di crowfounding per raccogliere soldi, attraverso GoFundMe. Ha anche pubblicato un post su Facebook, ricevendo messaggi da tutto il mondo e andando a formare quello che lei chiama #ElliotsArmy, ossia “l’esercito di Elliot”. Tra i luoghi dei componenti di questo particolare esercito ci sono l’Australia, la Danimarca, il Messico, l’Italia, la Cina e la Svezia. Mamma Leah si sente commossa dal fenomeno e promette che continuerà a parlare di suo figlio finché non troverà qualcuno, un medico o uno scienziato, in grado di aiutarlo.

«Sapevo che avrei avuto bisogno di attirare l’attenzione di ciascuno e fare un sacco di rumore per ottenere gli aiuti di cui aveva bisogno il mio bimbo – ha detto – Dopo tutto, tutti noi sappiamo che le ruote che cigolano hanno bisogno di grasso. […] Qualcuno, da qualche parte, saprà come aiutare Elliot. E non mi fermerò dal condividere la nostra storia finché non troverò questa persona.»

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!