Alcuni lo chiamano gender pay gap, altri gap salariale; la sostanza, però, è sempre la stessa: parliamo delle disparità ancora esistenti tra gli stipendi femminili e quelli maschili.

Anche se ormai l’accesso al lavoro femminile è garantito come diritto in maniera pressoché universale, e non più influenzato dalla mentalità della famiglia patriarcale che voleva tutte le donne angeli del focolare e devote mogli, madri e casalinghe, a permanere è però ancora lo stereotipo, in cui il maschilismo gioca senza dubbio una parte importante, secondo cui è in qualche modo “giusto” che le donne guadagnino di meno rispetto ai colleghi uomini, anche se esercitano esattamente la stessa mansione.

Come se fosse “umiliante” per un uomo sapere di essere pagato quanto la moglie, per fare un esempio, o, in alcuni casi, persino meno. Peccato che lo stipendio percepito non sia chiaramente un modo per far valere la propria virilità, il concetto è evidentemente duro da essere compreso dalla compagine maschile, che cerca in ogni maniera di tutelare i propri piccoli privilegi salariali.

Ma che il gap salariale sia un problema di stretta attualità è quantomai importante da affrontare lo denotano non solo i dati che arrivano dal nostro paese e dal resto del mondo, ma anche il fatto che l’argomento sia stato inserito nell’agenda dell’Unione Europea, ma non solo. Del resto, la consigliera dell’Onu per le donne Anuradha Seth, commentando il Rapporto dell’Onu sul gender pay gap intitolato “Lo stato della popolazione nel 2017”, ha parlato della questione come di un vero e proprio furto, “il più grande della storia”, facendo così chiaramente capire che è interesse precipuo anche delle Nazioni Unite abbattere le disparità salariali, che sono lo strascico inevitabile di retaggi in cui la società a stampo prettamente maschile è dominante.

Ma perché è così difficile capire che donne e uomini devono essere pagati in maniera uguale per svolgere lo stesso compito e, soprattutto, com’è stato possibile portare avanti una situazione del genere così a lungo?

Gap salariale: cosa significa?

Con gap salariale si intende la differenza di retribuzione maschile e femminile, le cui cause sono da ricercarsi in fattori diversi: ad esempio, il gender pay gap può dipendere dalla minore partecipazione al mercato del lavoro, dalla mancata retribuzione per il lavoro domestico, fino a veri e propri casi di discriminazione e sottovalutazione del lavoro femminile. Un esempio su tutti? La presenza di figli e l’età, che aggravano il gap.

Con riferimento solo al nostro paese, ad esempio, in cui si pensa che per legge le aziende non possano discriminare le donne dal punto di vista della retribuzione, val la pena specificare che in realtà esiste un escamotage, il super minimo, che è assolutamente discrezionale essendo una voce della retribuzione concordata direttamente tra datore di lavoro e dipendente in sede di assunzione, o come integrazione successiva al contratto di lavoro, e che va appannaggio soprattutto degli uomini. 

Eppure, come accennato la legge per tenere sotto controllo la situazione, in realtà, parlerebbe chiaro: l’articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91), modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione prevede infatti che

Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.

Il gap salariale in Italia e nel mondo

È addirittura del 1975 la direttiva sulla parità retributiva tra uomini e donne della Comunità Europea. Eppure sembra non esserci ancora spazio per l’effettiva parità salariale, dal momento in cui la UE ha pensato di creare persino un progetto ad hoc proprio per sensibilizzare gli stati membri sul problema del gender pay gap. Ad esempio, iGran Bretagna (almeno fino a quando farà parte della UE), le grandi aziende sono obbligate a pubblicare i dati sul differenziale di genere nei salari e nei bonus dei loro dipendenti. Mentre in Svizzera le imprese che dimostrano di seguire una politica salariale egualitaria possono ottenere agevolazioni fiscali e salariali.

Ma, parlando in maniera concreta, cosa dicono i dati sul gap salariale? In riferimento all’Italia, il Gender Gap Report 2017 di JobPricing ha affermato che gli uomini, mediamente, percepiscono una retribuzione annua lorda (RAL) di 30.676 euro, le donne 27.228: c’è quindi un gap del 12,7% in favore della componente maschile. Inoltre, le donne italiane ai vertici rappresentano solo il 40%, mentre nel settore degli impiegati sono in maggioranza (57%), e il compenso di un quadro o  dirigente uomo è una volta e mezzo superiore a quello di una collega.
Il Report on equality between women and men in the EU del 2017 ha fatto emergere anche che, in Italia, sempre più donne lavorano, ma il tasso di occupazione femminile è inferiore del 12% rispetto al tasso di occupazione maschile, tanto da essere il penultimo Paese europeo per capacità di includere le donne nel lavoro.

Ciononostante, il nostro, secondo altre stime più recenti, sarebbe il paese della UE con la differenza di stipendio più bassa, come riporta questo articolo prendendo in esame alcuni dati Istat relativi al 2018, secondo cui le donne guadagnerebbero “solo” il 5,5% in meno degli uomini, mentre in Germania il gap salariale è del 15,7%, nel Regno Unito arriva al 17,1%, e fuori Europa, in Giappone e USA, è, rispettivamente, al 25,7% e al 18,9%.

A incidere sul gap è, come detto, anche la presenza di figli, tanto che i dati parlano di un 4% medio di stipendio perso da una donna rispetto a un uomo in presenza di un figlio, mente i padri invece vedono il loro reddito crescere del 6%.

Oltre che per una questione di dignità e di eguaglianza delle lavoratrici ridurre il gap sarebbe importantissimo anche dal punto di vista della crescita economica: a dirlo è il rapporto 2018 stilato dall’Eige (Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere), per cui si potrebbe avere un aumento tra 3,5 milioni e 6 milioni di posti di lavoro nel 2050 grazie al maggior numero di donne facenti parte della forza lavoro.

L’impegno è quindi mirato a eliminare le disparità di accesso all’istruzione e nel mercato del lavoro,  la segregazione occupazionale e a rivedere le interruzioni di carriera dovute ai congedi di maternità.

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