La pizza è il migliore incentivo per lavorare di più e meglio. Ecco cosa rivela questa ricerca

La pizza come bonus tra gli incentivi al lavoro: ecco cosa è emerso in un insolito esperimento in cui la ricetta napoletana è preferita perfino a più denaro.

Le Tartarughe Ninja ce l’hanno insegnato e Joey Tribbiani di Friends ce l’ha confermato: niente è più buono della pizza. Certo, noi italiani pensiamo al tutto con fervore campanilistico. La pizza è una nostra invenzione e ce ne vantiamo. Ma forse si vengono a scoprire di questo alimento dei dettagli del tutto inaspettati. Come il fatto che costituisca un incentivo non da poco sul posto di lavoro.

Le cose stanno così: è stato realizzato un esperimento alla base del nuovo libro dello psicologo Dan Ariely, “Payoff: The Hidden Logic That Shapes Our Motivations”, ossia “La ricompensa: La logica nascosta che dà forma alle nostre motivazioni”. Ma di quale ricompensa parliamo? Molto semplice. A dei lavoratori in un’industria tecnologica in Israele sono stati offerti degli incentivi in base alla loro produzione. Produzione che aveva a che fare con dei microchip per computer.

A un primo gruppo è stato detto che, come premio per la sua produzione, avrebbe avuto una pizza. Un secondo gruppo avrebbe ricevuto dei complimenti dal capo, la mattina via SMS. A un terzo gruppo è stato invece promesso un bonus in denaro di 20 sterline (poco meno di 24 euro, ben più del costo di una pizza). A un quarto gruppo – il gruppo di controllo – non è stata promessa alcuna ricompensa. Il gruppo di controllo serviva infatti a stabilire uno standard quantitativo e qualitativo sulla produzione.

Alla fine del periodo dell’esperimento, il gruppo che avrebbe dovuto ricevere la pizza, aveva incrementato la produzione dei chip del 6,7%, tallonato dal gruppo dei complimenti con 6,6%. Fanalino di coda, che nel tempo ha subito ulteriori decrementi di produttività, il gruppo del bonus in denaro, che si è attestato su 4,9% di chip in più.

Altra cosa interessante: chi avrebbe “vinto” la pizza, avrebbe avuto anche il permesso di portarsela a casa. «In questo modo – ha commentato Ariely nel libro – non solo avremmo dato a queste persone un regalo, ma li avremmo anche resi degli eroi agli occhi delle loro famiglie.» Potrebbe apparire come un assunto un po’ azzardato, ma in realtà non lo è. La pizza, più che il valore del cibo-oggetto in sé, rappresenta il segno tangibile del successo. È qualcosa che si può vedere, odorare, assaggiare.

Diverso il discorso per il denaro. In fondo, come si dice ne “La fabbrica di cioccolato” di Tim Burton, non esiste cosa più comune del denaro, se ne stampano nuove banconote ogni giorno. E sì, è tutto vero.

E ancora diverso il discorso dei complementi del capo. A poche persone piace lavorare. Piace davvero. Accade a coloro che sapevano fin da piccoli cosa avrebbero fatto da grandi, non a tutti gli altri per cui in molti casi la società ha scelto. Così si finisce per sentirsi in obbligo di andare al lavoro, giorno dopo giorno. In un’azienda del genere poi, ci si sente parte di una catena di montaggio. E si finisce per chiedersi: sono importante o sono sostituibile con un’altra persona qualunque? I complimenti del capo fanno in modo di rovesciare questi dubbi. Ci si sente importanti, se non fondamentali: una risorsa umana con cui fare i conti.

Questa ricerca è dunque molto interessante, perché rende un po’ più chiari i meccanismi che si sviluppano nell’animo umano quando si è sul posto di lavoro, tra lo stress e la paura di non farcela sempre e in ogni situazione. Tuttavia, le notizie sulla ricerca non chiariscono un dettaglio che per noi potrebbe essere di primaria importanza: ma la pizza, poi, a che gusto era?

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