Abramovic: "Ho abortito 3 volte per la carriera. Diventare madre: un disastro”

Una vita per l’arte, dove non c’era posto per la maternità, tanto da rinunciarvi per ben tre volte. Perché per Marina Abramovic i nascituri, col loro inesauribile bisogno d’amore, avrebbero limitato la passione da riversare nel lavoro. O, forse, perché ogni opera, per la nonna della performing art, è sempre stata amata, desiderata e difesa come un figlio.

Sempre più donne scelgono, consapevolmente, di non diventare madri. Parte della società, per questo, le vede come “mostri”, condannate al rimpianto e impossibilitate ad ambire a una completa realizzazione.

C’è chi la fa per lavoro, chi per preservare quella libertà d’azione che, sicuramente, un figlio può limitare e chi, semplicemente, non sente la pulsione alla maternità senza, per questo, essere meno donna. Semmai, semplicemente donna consapevole dei propri desideri. Forse più di coloro che madri lo sono diventate quasi per cliché e che, poi, sono uscite allo scoperto ammettendo che, se tornassero indietro, non procreerebbero più, nonostante amino i figli alla follia.

Va da sé, che a colpire, nelle dichiarazioni di Marina Abramovic di luglio 2016, non è tanto il

Diventare madre sarebbe stato un disastro per la mia carriera

ma l’ammissione “Ho abortito 3 volte“. E, in particolare, senza entrare nel merito del delicato tema dell’aborto, che rimane comunque un diritto e una scelta personale, quel 3 e, insieme, quella scelta di dirlo al mondo, in modo un po’ sfrontato, con la solita impassibilità di cui la Abramovic ha fatto una cifra stilistica.
Del resto, l’artista ci ha abituate a scandalose provocazioni, che sono state tutt’uno col trascorrere della sua vita. E, in qualche modo, il contenuto dell’intervista, rilasciata al giornale tedesco Tagesspiegel, sembra essere anche questo.

Marina Abramovic,
Fonte: web

Non ci sono mai riuscita, neanche ad avere la forza di diventare madre. Ho avuto tre aborti. Un figlio sarebbe stato un disastro per la mia carriera. Ognuno ha un’energia limitata nel proprio corpo e con un bambino so che avrei dovuto dividerla”.

Queste le parole che la geniale performer ha pronunciato davanti al suo intervistatore, soffermandosi su una scelta difficile con la quale, prima o poi, molte donne si devono confrontare.
Un bivio che cambia la vita e davanti al quale si è obbligate a decidere quali sono le proprie priorità.

Marina, le sue le aveva molto chiare e, ad oggi, non rimpiange di aver seguito quell’incondizionata passione per l’arte e quell’istinto ribelle che l’ha sempre guidata: “Sono felice di essere libera”, ha dichiarato candidamente facendo un bilancio della sua esistenza, vissuta in modo intenso e sempre al massimo. Al massimo dell’espressività, dell’emozione, della ricerca, della voglia di stupire e di stupirsi. E, soprattutto, al vertice dell’affermazione professionale, raggiunta da una fama mondiale che probabilmente non avrebbe ottenuto se avesse scelto la maternità. “Secondo me c’è una ragione per la quale le donne non hanno successo in campo artistico come gli uomini. Il mondo è pieno di donne talentuose. Perché, allora ,gli uomini ricoprono sempre le posizioni più importanti? È semplice. Amore, famiglia, bambini – una donna non vuole sacrificare tutto questo“.

Ma nemmeno lei, alla fine, ha voluto e potuto sacrificare tutte le soddisfazioni che provengono dai sentimenti e dalla vita privata. È vero, ha anteposto la carriera al diventare madre ma non per questo ha smesso di cercare il vero amore, non un principe azzurro che la portasse all’altare ma un compagno di vita che “non volesse cambiarla” e capace di sostenere la sua indipendenza ed energia. “Il matrimonio non è materia mia – ha raccontato alla rivista tedesca – ma il mio sogno è di avere quelle domeniche mattine, dove fai colazione e leggi il giornale in compagnia di qualcuno“.

Le rivelazioni della nonna della performing art, come lei stessa ama definirsi, fanno già discutere, e non solo riguardo al gender gap nel mondo dell’arte. D’altronde, l’artista che ha passato la vita a sfidare i limiti del corpo e della mente, scioccando ed ammaliando fans e critica con performance estreme e pericolose, non poteva certo aver paura di suscitare un altro scandalo. Abituata alle confessioni dal forte impatto emotivo, anche stavolta ha messo in primo piano la sincerità, ammettendo che la via seguita, per una come lei, era l’unica possibileNon riesco a pensare a una vita diversa da questa“.
E, in effetti, nemmeno noi riusciamo a immaginarla diversa da quella donna forte e ribelle, che acconcia i capelli con la treccia d’ordinanza e veste abiti color rosso sangue. L’ossessione per il plasma, protagonista di molte performance, è iniziata da bambina, quando soffriva di copiose emorragie notturne di origine psicosomatica. Cresciuta da genitori anaffettivi, dirigenti del partito di Tito, l’artista ha sviluppato un rapporto complicato anche con il sesso: famoso l’aneddoto di una prima volta vissuta deliberatamente senza amore, definita null’altro che un esperimento.

Da lì, Marina comincia a scindere il corpo dalle emozioni, giocando col suo “involucro” fino a metterlo in pericolo. Negli anni Settanta si susseguono le performance Rhythm 5, durante la quale si dà fuoco dentro ad una struttura a stella a cinque punte che richiama il partito di Tito, Rhythm 4, che la farà finire in ambulanza dopo lo svenimento provocato dall’ingestione dell’aria di un ventilatore e il noto episodio d’autolesionismo davanti al fotografo Thomas Lips, che la immortala completamente nuda mentre si taglia il ventre. Lei lo definirà un atto di amore e di abbandono.

Pochi anni dopo, sarà proprio l’amore a trasformare le sue esibizioni soliste in performance di coppia: Marina conosce Ulay, artista tedesco dall’aria efebica che, dal ’76 e per i successivi 12 anni, sarà il suo partner nella vita e nell’arte. Difficile dimenticare la loro prima esperienza estetica comune mentre, sulla Giudecca prima della Biennale, correvano nudi fino a scontrarsi, con un microfono che amplificava in modo ossessivo il rumore del contatto carnale; o, ancora, le 90 repliche di Nightsea Crossing in cui si fissavano per 7 ore, completamente immobili, nel periodo in cui praticavano astinenza sessuale. Lei lo amava così tanto da non riuscire a respirare e i critici li chiamavano la coppia invincibile dell’arte. Finché, un giorno, anche loro si sono lasciati, dicendosi addio dopo una camminata di 90 giorni sulla Grande Muraglia Cinese, ovviamente nel corso di una performance.
Da un nordico a un mediterraneo: l’altro grande amore della Abramovic, con la quale si sposa nel 2006, è “troppo giovane, troppo bello e troppo italiano per lei”. Passano sempre 12 anni e, di nuovo, l’idillio col giovane artista Paolo Canevari si conclude. Perché tutto è destinato a finire e, non a caso, Marina ha già programmato il suo funerale, dove sarà servita una torta con scala uno a uno del suo corpo da distribuire ai presenti.  A volte, però, le cose possono anche ritornare. A provarlo, la commovente performance svoltasi nel 2010 in occasione della retrospettiva a lei dedicata da parte del MoMA: qui, dopo aver condiviso un minuto di silenzio con molti sconosciuti, la Abramovic si è trovata inaspettatamente di fronte l’adorato Ulay, che non vedeva da 20 anni. Quando si dice fare della propria vita un’opera d’arte.

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