#Iodonnaconglishorts: se noi donne siamo le prime a massacrarci l'un l'altra

"Io Donna" insulta il corpo di una teenager in una didascalia indubbiamente indelicata e scoppia il polverone sul web. Giusto, sacrosanto, peccato che dietro alle belle parole, a volte, si nasconda l'ipocrisia di noi donne che siamo le prime detrattrici di noi stesse e delle nostre "rivali" femminili.

I fatti sono presto detti e ormai abbondantemente noti. Io Donna, lo storico settimanale femminile del Corriere della Sera, pubblica un articolo dal titolo Estate, orrori di stile in città (ma le star vestono peggio), in cui compare questa infelice didascalia sotto la fotografia della 19enne attrice e modella statunitense, in compagnia del fidanzato Beckham junior.

A far scatenare l’indignazione – giusta e sacrosanta – del web è stata Selvaggia Lucarelli che, si sa, è capace di muovere la Rete con un solo cenno (e che lo fa, a onor del vero, nel modo consapevole e attento di chi conosce le responsabilità derivanti dall’essere influencer, nel suo caso di fatto e non per autoproclama). È lei tra le prime ad accorgersene, pubblicando questo post:

Al suo segnale, manco a dirlo, si è scatenato l’inferno in rete. Su Twitter in poco tempo l’hashtag #iodonnaconglishorts, lanciato dalla blogger @IrisTinunin, è diventato trend topic ed è iniziata la legittima difesa di noi, donne normali, e con un fisico ben diverso da quello di Chloe Moretz che, con buona pace di chi ha scritto quella didascalia, ci permettiamo di combattere il caldo estivo con un paio di shorts e “riduzioni” varie delle metratura di stoffa dei nostri vestiti alla faccia di rotolini, smagliature e cellulite che, a parte le solite 4 gatte, ce li abbiamo un po’ tutte.

E, sempre noi donne normali (figuriamoci una 19enne come Chloe), ci permettiamo di fare questo affronto alla sensibilità di una visione mediatica distorta del corpo femminile, alla faccia di ciò che è in o out o semplicemente buongusto, perché quegli shorts un po’ strappati li adoriamo e, nonostante le nostre imperfezioni, ci sentiamo bene (e comode) dentro. Nei casi più fortunati ci piacciamo pure.

Tutto bene fin qui. E bene pure i cinguettii di indignazione, tra chi rivendica un diritto insindacabile e sacrosanto:

Benissimo il tweet con foto della curvy model, ci piace e approviamo senza se e senza ma. Anche se proprio con Iris Tinunin, autrice dell’hashtag, purtroppo è nata una spiacevole polemica scaturita da un’incomprensione, ora fortunatamente risolta sulla paternità dell’hashtag da lei creato per e non contro le donne e su una nostra censura ad alcuni suoi tweet che, da parte nostra, non c’è stata. Morale della favole ci siamo scambiate un po’ di botta e risposta e tweet educati, ma non cordiali, ma siamo però felici di dire che, con messaggi e mail, la cosa è arrivata a un chiarimento e vogliamo precisare che questo articolo non vuole in alcun modo sminuire il messaggio positivo di questo hashtag. Solo aprire una riflessione sull’ipocrisia che, a volte, il web nasconde (e di cui parliamo in seguito) e le derive che, a volte, prendono sul web lotte non solo condivisibili ma fondamentali come questa che, noi come Iris e con Iris, vogliamo combattere. Derive, purtroppo, che sul web avvengono spesso, a prescindere dalle intenzioni di chi, come Iris in questo caso, le ha create.

Ma chiarita la questione, torniamo al tema… Benissimo il suo tweet, dicevamo

Perfetta soprattutto la sintesi di chi individua in 140 caratteri qual è il vero problema.

E qui casca l’asino. Anzi, ne cascano almeno un paio.

Il primo casca sulle crociate e sulle sassaiole del web. Pronti a sparare senza pietà al minimo errore e a pretendere la testa del colpevole (in questo caso chiedendo a gran voce – e colpi di tweet – la foto in shorts della colpevole, così da poter far partire il fuoco crociato ed eliminare il nemico). Domanda: siamo sicure che questa sia la risposta a sostegno di un’immagine diversa del corpo femminile?
Cosa c’è di male? Ha fatto un errore! Bisogna punirla. Di più, ha sottovalutato la sua responsabilità nei confronti di tutte le donne che, leggendo quelle poche righe, si sono sentite umiliate e offese. Di più ancora, ha sottovalutato i rischi e i danni che una penna troppo leggera possono causare in tante ragazzine (e non) che del corpo e della ricerca di una perfezione impossibile fanno quotidianamente una malattia.

Tutto vero, come è vero che la giustificazione di Io Donna sembra un po’ raffazzonata, perché un conto è dare un giudizio sul look, un altro dire che non è “così magra da poterli indossare con disinvoltura”.

Detto questo, è anche vero quello che scrive Selvaggia Lucarelli:

Altrimenti finisce un po’ come nel calcio, dove un Pellè che era pronto alla candidatura a “santo subito” per la maggior parte dei tifosi, diventa l’ultimo degli idioti per aver sbagliato un rigore che, almeno per i social, ha cancellato anche quanto di buono aveva fatto fino a lì. Come a dire che Baggio diventa l’ultimo degli stronzi, passate il termine, per aver sbagliato il rigore determinante nella finale mondiale di USA 1994. No è, a ragione, uno dei migliori calciatori della storia italiana.

Tradotto: bene l’indignazione, ma contestualizziamo e, soprattutto, siamo onesti. E qui casca il secondo asino.

L’errore c’è ed è grave. Ma rappresenta – molto bene – un problema culturale che, con buona probabilità, riguarda la maggior parte di chi ha lanciato strali sotto forma di tweet. Perché quello che ha fatto la giornalista altro non è che quello che molte di noi fanno ogni giorno nei confronti di altre donne.

Il problema è che siamo noi donne le prime a massacrarci a vicenda. E non parliamo tanto di quando si vedono in giro – e se ne vedono – reali insulti al buongusto e alla decenza (e pure all’amor proprio di chi si concia in determinati modi). Ché, tra parentesi, ok essere politically correct, ma non perdiamo il diritto all’ironia e anche il dovere di dire le cose come stanno (merce rara, sia l’una sia l’altra, al tempo dei social). Dicevamo, non parliamo tanto di questo, ma di quella sottile e neppure troppo, impietosa cattiveria femminile che gode nel trovare il buchino della cellulite su un corpo perfetto. Che vede la foto di una modella e deve specificare che, tutto sommato, non è un granché e che di ragazze così ce ne sono tante.

Perché probabilmente se la giornalista in questione, sotto l’immagine di Chloe, avesse scritto: “Bellissima, anche in questa versione casual”, qualcuno (meglio, qualcuna e più) a dire che non è nulla di speciale e che la figlia dei vicini o la propria è più bella l’avremmo trovato. In questo caso è un’ipotesi, vero, ma se ne vedono esempi concreti e reali ogni giorno sui social.

Insomma, ci si indigni pure per il bodyshaming di Io Donna.

#Iodonnaconglishorts: se noi donne siamo le prime a criticarci l’un l’altra

Sta bene, davvero, ma solo se #iodonnaconglishorts diventa il manifesto di un nuovo modo di noi donne di guardare a noi stesse e alle altre, con empatia, sempre. Non solo quando “fare squadra” vuol dire cavalcare un hashtag in TT o sparare su un’altra di noi, colpevole di aver detto qualcosa che, con molta probabilità, i 3/4 di noi hanno detto negli ultimi giorni all’indirizzo della rivale in amore che “si è carina, ma se gli togli il trucco…”, della collega antipatica sempre in abiti sexy che “insomma, quella scollatura non se la può permettere”, o della tipa incrociata per strada che “è magra ma ha i fianchi troppo grossi per mettere gli shorts”.

Perché quello stereotipo di donne “rivali”, alla ricerca della minima imperfezione nelle altre donne e pronte a puntare il dito al minimo passo falso, purtroppo, fuori dal cameratismo social, spesso non è solo uno stereotipo.

È vero, ruoli diversi, responsabilità diverse. Una giornalista deve prestare maggiore attenzione alle parole che usa. Ma cominciamo a essere “donne con gli shorts” davvero, non solo sui social.
Ché questo nostro corpo di donne, troppo magre, troppo grasse, troppo quello o troppo poco quest’altro, siamo noi donne che ce lo stiamo massacrando a vicenda.

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